Il 6 novembre la Conferenza Stato-Regioni ha dato il suo parere favorevole alla bozza di Decreto del Ministero della Salute che rende finalmente operativa la Legge 130/2023, definendo come le Regioni potranno organizzare lo screening.
Tradotto: prende forma il programma nazionale di screening pediatrico per individuare precocemente gli anticorpi del diabete di tipo 1 (e, insieme, quelli della celiachia) e permettere di scoprire la malattia prima che si manifesti, prevenire le diagnosi in emergenza (chetoacidosi diabetica) e aprire la strada a nuove terapie preventive.
La legge è stata approvata nel settembre del 23, nel corso del 24 è stato fatto, dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con molti soggetti, tra cui anche FID, uno studio propedeutico in 4 Regioni per fornire al Ministero informazioni per poter redigere il decreto applicativo e poi nell’ultimo anno sono avvenute le interlocuzioni tra il Ministero, le Regioni e le altre istituzioni coinvolte per arrivare ad una versione condivisa del Decreto, che, è quella passata appunto alla Conferenza Stato Regioni per il parere.
È un passo che aspettavamo da tempo. Un passo che può cambiare davvero il modo in cui il diabete di tipo 1 viene scoperto nei bambini: non più quando è troppo tardi, con una chetoacidosi in pronto soccorso, ma prima, quando è ancora possibile agire non solo per evitare la chetoacidosi, ma anche per intervenire per rallentare e in futuro bloccare l’esordio della malattia.
Come funziona lo screening
Il programma è volontario, ovvero può accedere chi desidera farlo.
Al momento, secondo la bozza di decreto disponibile, lo screening verrà offerto a due gruppi di bambini:
- quelli che hanno tra 2 e 3 anni,
- e quelli che hanno tra 5 e 8 anni.
La scelta di queste due fasce d’età è dettata da motivi scientifici che. come Fondazione Italiana Diabete supportiamo pienamente, soprattutto per i bimbi più piccoli, che rischiano di più la terapia intensiva:
- a 2 anni c’è il primo picco di sieroconversione, ovvero la scienza ha dimostrato che è a questa età che iniziano a vedersi più autoanticorpi presenti nel sangue dei bambini. Inoltre a 2-3 anni si assiste anche alle chetoacidosi più gravi ed infatti i bimbi che sono morti in Italia negli ultimi anni avevano per lo più questa età
- tra i 5 e i 7 anni c’è un altro picco di sieroconversione e fare lo screening a queste età permette di identificare il maggior numero possibile di bimbi che hanno uno o più autoanticorpi
In queste fasce d’età i pediatri di famiglia, o direttamente le strutture sanitarie regionali, ad esempio attraverso i centri vaccinali, inviteranno le famiglie a partecipare. Lo screening è gratuito e volontario, e si fa con un semplice prelievo di sangue capillare – una puntura sul dito, come per la glicemia.
Quel piccolo campione di sangue servirà per cercare tre anticorpi specifici del diabete di tipo 1: anti-GAD65, anti-IA2 e anti-ZnT8.
Se uno o più di questi anticorpi sono presenti, significa che il sistema immunitario del bambino ha iniziato ad attaccare le cellule del pancreas che producono insulina. Non è ancora diabete, ma è un campanello d’allarme importante.
Sapere che un bambino è a rischio permette di monitorarlo nel tempo, evitare un esordio in emergenza e valutare anche possibili terapie preventive già disponibili.
Chi si occuperà dei test e dei controlli
Ogni Regione organizzerà il programma sul proprio territorio, ma seguendo regole comuni definite dal decreto. Il decreto non specifica chi farà fisicamente lo screening, potrebbero essere i centri vaccinali, potrebbero essere i pediatri di famiglia, o ciò che i dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitaria, che coordineranno lo screening, decideranno.
I campioni capillari verranno inviati a laboratori di riferimento regionali, centri specializzati che useranno metodi standardizzati e controlli di qualità condivisi a livello nazionale.
Se un test risulta positivo, la famiglia sarà contattata e indirizzata ai centri clinici regionali di riferimento, cioè reparti o ambulatori di diabetologia pediatrica, preparati ad accogliere le famiglie con bimbi positivi, che si occuperanno di confermare il risultato e seguire il bambino nel tempo.
In questi centri le famiglie troveranno non solo medici, ma anche personale formato e supporto psicologico.
Informazione e trasparenza
Lo screening sarà sempre proposto con il consenso informato dei genitori. Le famiglie riceveranno un’informativa chiara e completa, con parole semplici e anche in più lingue se necessario, per spiegare che cosa significa partecipare e cosa succede se il test risulta positivo.
Il decreto prevede anche campagne di informazione nazionali per spiegare a tutti – genitori, pediatri, insegnanti, nonni – che cosa si sta facendo e perché.
Lo scopo è creare una cultura della diagnosi precoce, perché conoscere per tempo fa la differenza: non solo per la salute del bambino, ma anche per la serenità della famiglia.
Quando partirà lo screening
Con il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni, il Ministero può inviare il decreto alle Commissioni competenti delle due Camere, che avranno 30 giorni per dare il parere. Passati i 30 giorni dalla trasmissione, il Ministero potrà emanare il decreto e a quel punto verranno ripartiti i fondi a disposizione tra le varie regioni per poter procedere.
Dopo la pubblicazione, le Regioni dovranno organizzarsi: individuare i laboratori, i centri clinici e le modalità per invitare le famiglie.
Non ci sarà una data unica nazionale, ma un’attivazione graduale, che comincerà dalle Regioni già pronte – come, ad esempio potrebbero essere quelle che hanno partecipato ai progetti pilota negli anni scorsi (Lombardia, Marche, Campania, Sardegna).
È realistico pensare che i primi bambini potranno essere invitati allo screening nel corso del 2026, e che il programma si estenderà progressivamente a tutto il Paese.
Per chi volesse approfondire, qui il testo della bozza di decreto: https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1762445721.pdf
Perché è un passo avanti per tutti
Con questo decreto applicativo della legge 130/23, l’Italia diventa il primo Paese al mondo ad avviare un programma di screening pediatrico nazionale per il diabete di tipo 1.
È una conquista per la salute dei bambini e per le famiglie, ma anche un investimento sulla ricerca: sarà possibile intervenire con nuovi farmaci per rallentare la malattia e in futuro possibilmente bloccarla e i dati raccolti aiuteranno a capire meglio come nasce il diabete di tipo 1 e come prevenirlo.
E’ anche fondamentale che nessun bambino muoia più a causa di una mancata o ritardata diagnosi e che nessun bambino finisca in terapia intensiva rischiando la vita per la chetoacidosi: permettere ai bambini di due anni di accedere allo screening serve proprio a questo!
Per la Fondazione Italiana Diabete, che da anni lavora per la diagnosi precoce e la prevenzione, questo risultato è un motivo di grande orgoglio.
È la prova che la collaborazione tra scienza, istituzioni e associazioni può davvero cambiare la vita delle persone.
E, soprattutto, è un passo verso un futuro in cui nessun bambino dovrà più arrivare a una diagnosi di diabete di tipo 1 in chetoacidosi solo perché “non si sapeva”.
