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Grant FID 2025: al Dott. Paolo Monti del DRI del San Raffaele 50.000 euro per lo studio su una terapia cellulare di tipo immunoterapico

Fondazione Italiana Diabete (FID) ha annunciato nel corso del Diabethon l’assegnazione di uno dei Grant FID 2025 al dottor Paolo Monti, ricercatore del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, per un progetto di ricerca dedicato allo sviluppo di una terapia cellulare di tipo immunoterapico per il diabete di tipo 1.

Il finanziamento, pari a 50.000 euro, rappresenta il secondo Grant FID assegnato al dottor Monti, dopo il sostegno ricevuto nel 2021, confermando la scelta della Fondazione di accompagnare nel tempo percorsi di ricerca promettenti e ad alto potenziale.

Una terapia cellulare che agisce sul sistema immunitario

Il progetto si concentra sulle cellule T regolatorie (T-reg), un sottotipo di cellule del sistema immunitario con la funzione naturale di mantenere l’equilibrio e prevenire reazioni autoimmuni. Nel diabete di tipo 1, questo meccanismo di controllo è compromesso e il sistema immunitario attacca le cellule β del pancreas.

L’obiettivo dello studio è sviluppare una terapia cellulare di tipo immunoterapico in cui le T-reg vengano potenziate e rese più specifiche, attraverso tecniche di ingegneria genetica, per riconoscere la proteina GAD65, uno dei principali autoantigeni coinvolti nella malattia.

 

Potenziare l’efficacia nel tempo

Uno dei limiti delle attuali strategie basate sulle T-reg è la durata dell’effetto terapeutico. Il progetto finanziato da FID mira a superare questo ostacolo rendendo le cellule più resistenti, funzionali e capaci di raggiungere il pancreas, dove possono modulare l’attacco autoimmune.

Lo studio coinvolge diverse competenze del San Raffaele, in un modello di ricerca traslazionale che integra immunologia, ematologia e medicina cellulare e sarà infatti portato avanti in collaborazione con il laboratorio di Ematologia Sperimentale del San Raffaele, guidato dalla Prof.ssa Chiara Bonini

Un contesto scientifico di rilievo internazionale

L’importanza delle cellule T regolatorie è stata recentemente confermata dal Premio Nobel per la Medicina 2025, assegnato per la scoperta di queste cellule e dei meccanismi di tolleranza immunologica, fondamentali per lo sviluppo di nuove terapie cellulari di tipo immunoterapico nelle malattie autoimmuni.

L’impegno di FID

Con i Grant FID, Fondazione Italiana Diabete ribadisce il proprio impegno a sostegno della ricerca scientifica di eccellenza, favorendo lo sviluppo di approcci terapeutici innovativi che possano arrivare ad eliminare il diabete di tipo 1.

Il Dott. Monti al Diabethon 2025

 GLOSSARIO

Cellule T regolatorie (T-reg)

Sono cellule del sistema immunitario che funzionano come un “freno di sicurezza”: aiutano a tenere sotto controllo le reazioni immunitarie e impediscono che il sistema immunitario attacchi il nostro stesso organismo.
Nel diabete di tipo 1 questo meccanismo non funziona correttamente e le T-reg diventano un importante obiettivo della ricerca.

Terapia cellulare

È un tipo di trattamento che utilizza cellule vive, invece di farmaci tradizionali.
Le cellule vengono studiate, potenziate o modificate in laboratorio e poi impiegate per aiutare l’organismo a curarsi.

Terapia cellulare di tipo immunoterapico

È una terapia cellulare che utilizza cellule del sistema immunitario per correggere una risposta immunitaria alterata, senza spegnerla completamente.
Nel caso del diabete di tipo 1, l’obiettivo è ridurre l’attacco autoimmune contro le cellule del pancreas che producono insulina.

Immunoterapia

È un insieme di strategie terapeutiche che agiscono sul sistema immunitario per combattere una malattia.
Può includere farmaci, anticorpi o terapie cellulari, come quelle basate sulle cellule T regolatorie.

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Diabethon 2025: due giorni per capire, imparare e costruire il futuro del diabete di tipo 1

Il 13 e 14 dicembre 2025 torna a Milano il Diabethon, l’evento annuale della Fondazione Italiana Diabete dedicato alla ricerca, all’innovazione e alla comunità delle persone che convivono con il diabete di tipo 1.
Due giornate aperte a famiglie, adulti, bambini, nate per condividere conoscenze, strumenti e obiettivi verso la cura.

30 tra scienziati, ricercatori, clinici, esperti e membri della comunità delle persone con diabete saranno a disposizione dei presenti per un giorno e mezzo condividere il loro sapere e crescere assieme.

Le sessioni formative del sabato e della domenica mattina

Le mattine del Diabethon saranno dedicate a tre grandi aree di formazione pratica:

  • Mente – incontri guidati da psicologi dedicati al benessere emotivo di genitori, bambini, ragazzi e adulti con DT1, con sessioni di confronto e mindfulness.
  • Pancia – un percorso intensivo sulla conta dei carboidrati, con livelli progressivi pensati per migliorare la gestione quotidiana del diabete.
  • Corpo – masterclass di sport e diabete per ragazzi e adulti, con un focus su attività fisica, autogestione e preparazione dei runner del Team FID.
La grande plenaria scientifica del sabato pomeriggio

Il cuore del Diabethon sarà la sessione plenaria che riunisce ricercatori, clinici, istituzioni, famiglie e volontari. Tre i temi principali:

  • Prevenzione del diabete di tipo 1
    Nuovi studi, vaccini e screening precoci scoprire la malattia prima che si manifesti.
  • Intercettare la malattia quando sta arrivando
    Terapie innovative, farmaci come il Teplizumab e casi reali che mostrano come rallentare o bloccare l’esordio.
  • Fermare il DT1 quando c’è già
    Le ultime frontiere delle terapie cellulari, le sperimentazioni internazionali più promettenti e il ruolo dell’Europa nella ricerca.
  • La parola alla Comunità
    Testimonianze, esperienze condivise e il racconto dei Team FID, che porteranno la loro voce e il loro spirito di squadra dentro la plenaria: un momento dedicato a chi vive ogni giorno il DT1 e contribuisce a costruire una rete di solidarietà e motivazione.

La plenaria ospiterà inoltre un confronto sulle tecnologie del prossimo anno, uno spazio “Chiedi al diabetologo” aperto al pubblico, e la consegna dei FID Awards, i premi ai volontari che sostengono ogni giorno la missione della Fondazione

Un appuntamento che unisce scienza e comunità

Il Diabethon 2025 sarà un luogo dove informarsi, confrontarsi e fare rete, ma soprattutto un momento per misurare quanto il cammino verso la cura del diabete di tipo 1 stia accelerando.
Anche quest’anno, la partecipazione della comunità FID renderà questo appuntamento un passo fondamentale verso un futuro senza DT1.  Ci sono gli ultimi posti disponibili, iscriviti subito!

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Screening nazionale pediatrico per il diabete di tipo 1 e la celiachia: finalmente ci siamo

Il 6 novembre la Conferenza Stato-Regioni ha dato il suo parere favorevole alla bozza di Decreto del Ministero della Salute che rende finalmente operativa la Legge 130/2023, definendo come le Regioni potranno organizzare lo screening.
Tradotto: prende forma il programma nazionale di screening pediatrico per individuare precocemente gli anticorpi del diabete di tipo 1 (e, insieme, quelli della celiachia) e permettere di scoprire la malattia prima che si manifesti, prevenire le diagnosi in emergenza (chetoacidosi diabetica) e aprire la strada a nuove terapie preventive.

La legge è stata approvata nel settembre del 23, nel corso del 24 è stato fatto, dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con molti soggetti, tra cui anche FID, uno studio propedeutico in 4 Regioni per fornire al Ministero informazioni per poter redigere il decreto applicativo e poi nell’ultimo anno sono avvenute le interlocuzioni tra il Ministero, le Regioni e le altre istituzioni coinvolte per arrivare ad una versione condivisa del Decreto, che, è quella passata appunto alla Conferenza Stato Regioni per il parere.

È un passo che aspettavamo da tempo. Un passo che può cambiare davvero il modo in cui il diabete di tipo 1 viene scoperto nei bambini: non più quando è troppo tardi, con una chetoacidosi in pronto soccorso, ma prima, quando è ancora possibile agire non solo per evitare la chetoacidosi, ma anche per intervenire per rallentare e in futuro bloccare l’esordio della malattia.

Come funziona lo screening

Il programma è volontario, ovvero può accedere chi desidera farlo.

Al momento, secondo la bozza di decreto disponibile, lo screening verrà offerto a due gruppi di bambini:

  • quelli che hanno tra 2 e 3 anni,
  • e quelli che hanno tra 5 e 8 anni.

La scelta di queste due fasce d’età è dettata da motivi scientifici che. come Fondazione Italiana Diabete supportiamo pienamente, soprattutto per i bimbi più piccoli, che rischiano di più la terapia intensiva:

  • a 2 anni c’è il primo picco di sieroconversione, ovvero la scienza ha dimostrato che è a questa età che iniziano a vedersi più autoanticorpi presenti nel sangue dei bambini. Inoltre a 2-3 anni si assiste anche alle chetoacidosi più gravi ed infatti i bimbi che sono morti in Italia negli ultimi anni avevano per lo più questa età
  • tra i 5 e i 7 anni c’è un altro picco di sieroconversione e fare lo screening a queste età permette di identificare il maggior numero possibile di bimbi che hanno uno o più autoanticorpi

In queste fasce d’età i pediatri di famiglia, o direttamente le strutture sanitarie regionali, ad esempio attraverso i centri vaccinali, inviteranno le famiglie a partecipare. Lo screening è gratuito e volontario, e si fa con un semplice prelievo di sangue capillare – una puntura sul dito, come per la glicemia.

Quel piccolo campione di sangue servirà per cercare tre anticorpi specifici del diabete di tipo 1: anti-GAD65, anti-IA2 e anti-ZnT8.
Se uno o più di questi anticorpi sono presenti, significa che il sistema immunitario del bambino ha iniziato ad attaccare le cellule del pancreas che producono insulina. Non è ancora diabete, ma è un campanello d’allarme importante.

Sapere che un bambino è a rischio permette di monitorarlo nel tempo, evitare un esordio in emergenza e valutare anche possibili terapie preventive già disponibili.

Chi si occuperà dei test e dei controlli

Ogni Regione organizzerà il programma sul proprio territorio, ma seguendo regole comuni definite dal decreto. Il decreto non specifica chi farà fisicamente lo screening, potrebbero essere i centri vaccinali, potrebbero essere i pediatri di famiglia, o ciò che i dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitaria, che coordineranno lo screening, decideranno.

I campioni capillari verranno inviati a laboratori di riferimento regionali, centri specializzati che useranno metodi standardizzati e controlli di qualità condivisi a livello nazionale.

Se un test risulta positivo, la famiglia sarà contattata e indirizzata ai centri clinici regionali di riferimento, cioè reparti o ambulatori di diabetologia pediatrica, preparati ad accogliere le famiglie con bimbi positivi, che si occuperanno di confermare il risultato e seguire il bambino nel tempo.
In questi centri le famiglie troveranno non solo medici, ma anche personale formato e supporto psicologico.

Informazione e trasparenza

Lo screening sarà sempre proposto con il consenso informato dei genitori. Le famiglie riceveranno un’informativa chiara e completa, con parole semplici e anche in più lingue se necessario, per spiegare che cosa significa partecipare e cosa succede se il test risulta positivo.

Il decreto prevede anche campagne di informazione nazionali per spiegare a tutti – genitori, pediatri, insegnanti, nonni – che cosa si sta facendo e perché.
Lo scopo è creare una cultura della diagnosi precoce, perché conoscere per tempo fa la differenza: non solo per la salute del bambino, ma anche per la serenità della famiglia.

Quando partirà lo screening

Con il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni, il Ministero può inviare il decreto alle Commissioni competenti delle due Camere, che avranno 30 giorni per dare il parere. Passati i 30 giorni dalla trasmissione, il Ministero potrà emanare il decreto e a quel punto verranno ripartiti i fondi a disposizione tra le varie regioni per poter procedere.

Dopo la pubblicazione, le Regioni dovranno organizzarsi: individuare i laboratori, i centri clinici e le modalità per invitare le famiglie.

Non ci sarà una data unica nazionale, ma un’attivazione graduale, che comincerà dalle Regioni già pronte – come, ad esempio potrebbero essere quelle che hanno partecipato ai progetti pilota negli anni scorsi (Lombardia, Marche, Campania, Sardegna).
È realistico pensare che i primi bambini potranno essere invitati allo screening nel corso del 2026, e che il programma si estenderà progressivamente a tutto il Paese.

Per chi volesse approfondire, qui il testo della bozza di decreto: https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1762445721.pdf 

Perché è un passo avanti per tutti

Con questo decreto applicativo della legge 130/23, l’Italia diventa il primo Paese al mondo ad avviare un programma di screening pediatrico nazionale per il diabete di tipo 1.
È una conquista per la salute dei bambini e per le famiglie, ma anche un investimento sulla ricerca: sarà possibile intervenire con nuovi farmaci per rallentare la malattia e in futuro possibilmente bloccarla e i dati raccolti aiuteranno a capire meglio come nasce il diabete di tipo 1 e come prevenirlo.

E’ anche fondamentale che nessun bambino muoia più a causa di una mancata o ritardata diagnosi e che nessun bambino finisca in terapia intensiva rischiando la vita per la chetoacidosi: permettere ai bambini di due anni di accedere allo screening serve proprio a questo!

Per la Fondazione Italiana Diabete, che da anni lavora per la diagnosi precoce e la prevenzione, questo risultato è un motivo di grande orgoglio.
È la prova che la collaborazione tra scienza, istituzioni e associazioni può davvero cambiare la vita delle persone.

E, soprattutto, è un passo verso un futuro in cui nessun bambino dovrà più arrivare a una diagnosi di diabete di tipo 1 in chetoacidosi solo perché “non si sapeva”.

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Screening gratuito per il diabete di tipo 1 al “Tempo della Salute” – FID porta la prevenzione nel cuore di Milano

Dal 6 al 9 novembre 2025, Fondazione Italiana Diabete (FID) sarà presente all’evento “Il Tempo della Salute” organizzato dal Corriere della Sera, per offrire a bambini e adulti da 1 a 45 anni la possibilità di effettuare gratuitamente lo screening per il diabete di tipo 1 presso il Palazzo dei Giureconsulti, in Piazza dei Mercanti 2, a due passi dal Duomo di Milano.

L’iniziativa rappresenta un’occasione unica per scoprire in anticipo se si sta sviluppando il diabete di tipo 1, grazie a un semplice test capace di rilevare la presenza di autoanticorpi specifici.

Un’iniziativa in linea con la nuova legge nazionale

Lo screening, promosso da Fondazione Italiana Diabete in collaborazione con il Centro FID-INNODIA-San Raffaele, anticipa l’applicazione della Legge n. 130/23, che prevede l’estensione del test su tutto il territorio nazionale.
FID continua così a essere in prima linea nella ricerca, prevenzione e sensibilizzazione sul diabete di tipo 1.

Perché è importante fare lo screening

Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che colpisce circa una persona su 250 e può manifestarsi a qualsiasi età, anche nei bambini molto piccoli.
Riconoscere precocemente la presenza degli autoanticorpi consente di intervenire prima dei sintomi e di prevenire l’esordio in chetoacidosi diabetica, una condizione acuta e potenzialmente pericolosa che interessa circa metà dei casi al momento della diagnosi.

Grazie allo screening è possibile:

  • Predire il rischio di sviluppare la malattia e monitorare nel tempo chi risulta positivo;
  • Prevenire complicanze acute come la chetoacidosi diabetica, che può richiedere il ricovero in terapia intensiva;
  • Formare le famiglie a riconoscere i sintomi e gestire correttamente la condizione;
  • Accedere precocemente a percorsi terapeutici o sperimentali, come le nuove terapie con anticorpi monoclonali capaci di rallentare la progressione del diabete.

Ricordiamo che i familiari delle persone con diabete hanno un rischio di 15 volte più alto di chi non ha familiari di avere il diabete di tipo 1, ma è importante rimarcare che il 95% circa delle persone cui viene diagnosticato il diabete di tipo 1 non ha nessuno in famiglia con la malattia. Quindi lo screening interessa tanto chi ha già la patologia in famiglia, che chi non la ha.


Come si svolge lo screening

Il test è semplice e indolore: con un pungidito vengono raccolte alcune gocce di sangue su un cartoncino assorbente.
Il campione viene poi analizzato nei laboratori del San Raffaele di Milano, e i risultati vengono comunicati successivamente dal personale medico specializzato.
Non è necessario essere a digiuno.

Per i minori di 18 anni, è richiesta la presenza di un genitore o di chi esercita la responsabilità genitoriale per l’autorizzazione a fare l’analisi.

Dove e quando

📆 6–9 novembre 2025
🕙 Dalle 10 alle 18
📍 Palazzo dei Giureconsulti, Piazza dei Mercanti 2 – Milano (Metro Duomo, linea gialla)

Un piccolo gesto per un grande impatto

Il diabete di tipo 1 non si può ancora completamente prevenire, ma si può prevedere, gestire in modo più efficace e allontanare grazie alla diagnosi precoce.
Con questo screening, FID promuove la cultura della prevenzione e della conoscenza, due strumenti fondamentali per ridurre complicanze e migliorare la qualità di vita di chi convive con la malattia. Senza dimenticare la possibilità di ritardare la comparsa della malattia con alcuni farmaci che si sono dimostrati efficaci nel rallentare l’esordio.

“Un piccolo gesto come un pungidito può cambiare la vita: sapere significa poter agire per tempo e costruire un futuro diverso e più facile. La scelta è nelle tue mani!”

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FID al Parlamento Britannico per presentare la l. 130/23 sullo screening

Siamo lieti di condividere un importante riconoscimento internazionale per l’Italia e per il lavoro svolto da Fondazione Italiana Diabete (FID). L’Italia – grazie alla Legge 130/23, che ha introdotto lo screening pediatrico per il diabete di tipo 1 e per la celiachia – è entrata nel dibattito internazionale sulla prevenzione del diabete.
Mercoledì scorso, il Prof. Emanuele Bosi, Presidente del nostro Comitato Scientifico, è stato invitato a intervenire presso l’All Party Parliamentary Group for Diabetes (APPG) del Parlamento del Regno Unito – un intergruppo parlamentare dedicato specificamente al diabete – per presentare i dettagli della “nostra” legge e l’esperienza pilota del progetto D1CE.

Il contesto e gli obiettivi

Durante l’incontro, il Professor Bosi ha illustrato il percorso che ha portato all’approvazione della Legge 130/23 in Italia, mettendo in luce:

  • il razionale scientifico alla base dello screening precoce del diabete di tipo 1;
  • i capisaldi della legge: screening degli anticorpi nell’intera popolazione pediatrica, non solo i familiari, come strumento di salute pubblica per prevenire la chetoacidosi diabetica in esordio e permettere lo sviluppo di terapie che modificano il corso della malattia, accompagnato da una campagna nazionale di comunicazione;
  • i risultati dello studio pilota D1CE, volto a verificare l’efficacia pratica dello screening in età pediatrica;
  • le potenzialità di estendere questo modello ad altre realtà nazionali, in particolare al Regno Unito.

L’obiettivo – condiviso da FID – è che il Parlamento inglese prenda in considerazione un provvedimento analogo, che renda lo screening del diabete di tipo 1 un’attività sistematica di sanità pubblica anche nel Regno Unito.

Il ruolo di Breakthrough T1D UK e il White Paper

L’iniziativa è stata ospitata da Breakthrough T1D UK, che da tempo esercita una forte pressione affinché nel Regno Unito venga avviato uno screening di popolazione per il diabete di tipo 1, con due obiettivi principali:

  1. Ridurre il ricorso alla chetoacidosi in esordio (DKA) – che in alcune regioni del Regno Unito riguarda fino al 60% dei bambini al momento della diagnosi. 
  2. Permettere un intervento precoce che possa ritardare la comparsa della malattia sintomatica, migliorare l’impatto clinico e ridurre gli oneri assistenziali. 

In questa occasione, Breakthrough T1D UK ha presentato un documento intitolato Changing the story: Why early detection of type 1 diabetes must become the norm”. Il White Paper — disponibile integralmente online — analizza:

  • le evidenze scientifiche a supporto dello screening precoce (autoanticorpi, fasi precliniche del diabete di tipo 1) 
  • le implicazioni cliniche e di sistema: diagnosi prima della DKA, riduzione delle ospedalizzazioni e ottimizzazione dell’approccio terapeutico; 
  • le raccomandazioni per la realizzazione di un programma nazionale di screening, includendo sensibilizzazione, accesso al test e corretta infrastruttura di follow-up. 

Per leggere il documento completo: Why early detection of type 1 diabetes must become the norm – Breakthrough T1D UK

L’Italia come modello internazionale

La partecipazione italiana a questo dibattito testimonia come la Legge 130/23 rappresenti un esempio concreto e riconosciuto a livello internazionale. Il modello italiano infatti ha già definito:

  • la fattibilità tecnica dello screening pediatrico per il diabete di tipo 1 e per la celiachia;
  • un modello operativo sperimentale (progetto D1CE) che ha alimentato i passaggi normativi;
  • un potenziale impatto tangibile in termini di prevenzione, diagnosi precoce e miglioramento della qualità di vita per bambini e famiglie.

FID è orgogliosa che il suo impegno nel campo della ricerca e della prevenzione venga valorizzato anche fuori dai confini nazionali.

Il valore della vostra partecipazione

Questo traguardo non sarebbe stato possibile senza l’impegno del nostro comitato scientifico, dei ricercatori, delle istituzioni sanitarie e di tutti coloro che, con il loro sostegno, rendono possibile la nostra azione.
Il contributo di chi ci sostiene ci permette non solo di arrivare prima ad una cura del diabete di tipo 1, ma anche di intervenire oggi per migliorare la vita di chi è destinato ad ammalarsi.

Vi invitiamo a seguire gli aggiornamenti su questa iniziativa, e a restare informati sulle prossime tappe operative. Insieme possiamo contribuire a costruire un futuro in cui il diabete di tipo 1 sia diagnosticato prima dei sintomi e della chetoacidosi diabetica e gestito prima che diventi malattia conclamata, allontanando sempre di più il giorno in cui si rende necessaria l’insulina e, in ultima analisi, aprendo la strada alla prevenzione di questa malattia. Perché il nostro obiettivo non è solo guarire i 9 milioni di persone che già soffrono di diabete di tipo 1, ma non far ammalare le centinaia di milioni destinate ad ammalarsi nei prossimi anni.

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Un Nobel che parla di noi!

Il Nobel per la medicina 2025 è molto importante per le persone con diabete di tipo 1

Il Premio Nobel per la Medicina 2025 è stato assegnato la scorsa settimana a Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi per le loro scoperte fondamentali sui meccanismi che mantengono l’equilibrio del sistema immunitario e impediscono che esso attacchi il proprio corpo.

Può sembrare un argomento lontano dal diabete, ma non lo è affatto: questo Nobel riconosce ricerche che hanno aperto la strada a nuove strategie per fermare le malattie autoimmuni, tra cui anche il diabete di tipo 1.

Le scoperte premiate: chi sono le “guardiane” del sistema immunitario?

I tre scienziati hanno scoperto e caratterizzato un tipo particolare di cellule immunitarie, chiamate linfociti o cellule T regolatorie (in breve T-reg), che agiscono come “freni” del sistema immunitario, come cellule che portano “pace”.
La loro funzione è fondamentale: evitare che altri tipi di linfociti (per esempio quelli citotossici, che sono aggressivi) attacchino i tessuti sani dell’organismo.

Negli anni ’90, il giapponese Shimon Sakaguchi fu tra i primi a identificare queste cellule e a dimostrare che la loro assenza porta allo sviluppo spontaneo di malattie autoimmuni. Mary Brunkow e Fred Ramsdell scoprirono successivamente il gene FOXP3, che “accende” il programma genetico delle T-reg e permette loro di funzionare correttamente.
Mutazioni di questo gene FOXP3, infatti, causano gravi sindromi autoimmuni già nei bambini (come ad esempio una malattia terribile che si chiama IPEX).

Insieme, questi lavori hanno dimostrato che la tolleranza immunitaria — cioè la capacità del nostro sistema immunitario di distinguere tra “self” (cellule dello stesso corpo) e “non-self” (invasori esterni tipo virus o batteri o formazioni cancerose) — non si costruisce solo nel timo (la cosiddetta tolleranza centrale), ma viene mantenuta continuamente anche in periferia, grazie all’azione di queste cellule T-reg.
È questa “sorveglianza costante” che impedisce al sistema immunitario di rivolgersi contro il corpo stesso.

Diabete di tipo 1: quando il sistema immunitario si ribella e uccide le cellule che funzionano

Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune: il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule β del pancreas, che producono insulina.
Quando le cellule T regolatorie non funzionano bene — o sono troppo poche — non riescono a fermare l’attacco dei linfociti “aggressori o citotossici”, e così le cellule pancreatiche vengono gradualmente eliminate e il pancreas non riesce più a produrre insulina.

In pratica, è come se il sistema immunitario “dimenticasse” che quelle cellule fanno parte del corpo.
Ed è proprio qui che entrano in gioco le ricerche dei tre Nobel: capire e rafforzare i meccanismi di tolleranza immunitaria è la chiave per evitare questo attacco autodistruttivo.

Dalla scoperta di base alla ricerca per una cura

Le scoperte sulle T-reg non sono solo un passo avanti teorico, ma la base di nuove terapie sperimentali oggi in corso in diversi centri di ricerca nel mondo, tra cui anche in Italia.
L’obiettivo è ripristinare la tolleranza immunitaria e fermare la malattia alla radice.

I principali filoni di ricerca riguardano:

  1. Terapie cellulari con T-reg: isolare le T-reg da un paziente, espanderle in laboratorio e reintrodurle per rinforzare i meccanismi di controllo del sistema immunitario. Studi pilota hanno dimostrato che le terapie cellulari con T-reg sono fattibili e ben tollerate, ma ancora poco efficaci nel il diabete di tipo 1 e altre patologie autoimmuni. Per questo si sta lavorando per istruire le T-reg a riconoscere in modo specifico gli antigeni delle isole di Langherans con lo scopo di ottenere una tolleranza mirata per il diabete di tipo 1.
  2. Migliorare la funzione delle T-reg: potenziare la loro stabilità e resistenza all’infiammazione (per esempio, attraverso molecole come IL-2 o IL-7, che ne sostengono la sopravvivenza).
  3.  Identificare chi è a rischio: scoprire biomarcatori che segnalano una disfunzione delle T-reg nei soggetti predisposti, così da intervenire prima che il diabete si sviluppi.
Il commento del ricercatore Paolo Monti (finanziato da FID)

“Mentre la maggior parte delle cellule immunitarie sono addestrate per combattere, le cellule T regolatorie sono i pacificatori. Senza questi pacificatori, saremmo tutti bloccati in infinite guerre civili contro i nostri stessi tessuti. Grazie a loro, abbiamo equilibrio, tolleranza e il ricordo che a volte gli eroi sono proprio coloro che impediscono la lotta.”

Il ricercatore Paolo Monti, del Diabetes Research Institute di Milano, sostenuto da FID nella sua ricerca volta a trovare una terapia al diabete di tipo 1 che utilizzi proprio le T-Reg, ha commentato così sui suoi profili social questo premio.

Perché questo Nobel è anche una speranza

Il Nobel per la Medicina 2025 non è solo un premio al passato, ma una finestra aperta sul futuro: ha riconosciuto l’importanza di un meccanismo biologico che, se compreso e modulato, può trasformare il modo in cui curiamo le malattie autoimmuni.

Per le persone con diabete di tipo 1, significa guardare avanti con più fiducia: non solo controllare la glicemia, ma fermare la malattia alla sua origine, intervenendo sul sistema immunitario stesso.

Fondazione Italiana Diabete: investire nella ricerca che cambia il futuro

La Fondazione Italiana Diabete sostiene progetti di ricerca innovativi proprio in questa direzione:

  • studi sulle cellule T regolatorie,
  • sviluppo di immunoterapie personalizzate,
  • e iniziative per prevenire il diabete tipo 1 nelle persone a rischio.

Il Nobel 2025 è la conferma che è importante percorrere questa strada.
Capire il sistema immunitario non serve solo a “curare meglio” — ma a cambiare il corso della malattia.

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SPORT E DIABETE DI TIPO 1: 10 COSE CHE ALLENATORI E ALLENATRICI DEVONO SAPERE 

 

Quando inizio ad allenarmi, non porto solo l’attrezzatura sportiva.  

Porto anche un sensore, un microinfusore o delle penne d’insulina, e la consapevolezza che ogni allenamento è un nuovo viaggio di conoscenza e crescita. 

Fare sport con il diabete di tipo 1 è possibile. 

Non serve proteggermi o escludermi, ma capirmi e ascoltarmi. 

L’attività fisica è una parte fondamentale della mia vita e, con il giusto supporto, può diventare anche una grande alleata nella gestione del diabete. 

Capirmi non significa trattarmi diversamente dagli altri. Significa allenare anche la fiducia. 

Ecco 10 cose – vere, concrete e spesso fraintese – che ogni allenatore/allenatrice dovrebbe sapere quando allena una persona con diabete di tipo 1. 

  1. Posso fare qualsiasi sport, a qualsiasi livello

Non c’è un “non puoi” nel diabete di tipo 1. Posso correre, nuotare, sollevare pesi, competere. Il diabete è una patologia che richiede attenzione e conoscenza. Dietro ogni atleta con diabete c’è un lavoro extra: imparare a conoscere il proprio corpo e capire come reagisce a ogni tipo di allenamento. Con il giusto equilibrio, posso fare tutto. 

  1. Se ti dico che devo controllare la glicemia, non sto cercando scuse

Durante un allenamento o una gara, controllare la glicemia è un gesto necessario, che mi mette in sicurezza, può significare fermarsi un minuto per capire come sto. Non è una pausa “per comodità”. A volte serve prima, durante o dopo l’attività: fa parte del mio allenamento, come il riscaldamento o lo stretching. 

Per favore, evita commenti fuori luogo e non farmi pesare il fatto che devo farlo. 

Può capitare che usi il telefono per leggere la glicemia o per controllare  

un’app collegata al sensore. 

Non è distrazione: è parte della mia gestione quotidiana della malattia. 

  1. Non ho paura di faticare, ma devo gestire i miei tempi

L’intensità, la durata e il tipo di esercizio possono far oscillare la glicemia in modi diversi. A volte ho bisogno di partire con un po’ di zuccheri in più, altre di rallentare per evitare un’ipoglicemia. Lasciami il tempo di capire il mio corpo: non è mancanza di grinta, è consapevolezza. Imparare a conoscersi è parte della disciplina sportiva. Aiutami a fare le cose con equilibrio, non a rinunciarci per paura. 

  1. Non trattarmi come “quello/a che deve sempre mangiare”

Quando la glicemia si abbassa, devo agire subito. 

Una bevanda, una barretta o delle caramelle non sono un semplice “snack”, ma strumenti di sicurezza che in certi casi mi salvano la vita. 

I carboidrati semplici (come zucchero e glucosio) agiscono rapidamente e devono essere sempre a portata di mano. 

Per questo porto con me una piccola borsa o zaino, contiene tutto ciò che mi serve e va tenuta vicino. È il mio salvavita. 

Se mi vedi un po’ confuso/a, pallido/a o disorientato/a, chiedimi se sto bene e aiutami a prendere qualcosa di zuccherato. 

È un gesto semplice, ma può fare la differenza. 

  1. Non trattarmi con eccessiva cautela, ma con fiducia.

Le variazioni glicemiche non si vedono, ma si sentono. 

Non serve allarmarsi o fermare tutto: serve ascolto e fiducia. 

Se ti dico che ho bisogno di un momento, lasciami gestire la situazione. 

Non è debolezza, è consapevolezza. 

Un atleta o un’atleta con diabete sa riconoscere i propri segnali e agire in tempo: aiutami solo a farlo con serenità. 

  1. Non giudicare una performance peggiore come mancanza di volontà o disciplina

Non tutti i giorni il mio corpo reagisce allo stesso modo: il diabete non segue schemi fissi. 

Ci sono giornate in cui mi sento forte e altre in cui il mio corpo fa fatica, anche se mi impegno allo stesso modo. È quello che succede a ogni atleta. 

L’importante è il percorso, non la singola prestazione. 

  1. Se uso un microinfusore o un sensore, non preoccuparti

Servono per monitorare la glicemia in tempo reale o per somministrare insulina. 

Possono vibrare o suonare: è normale.  

Non ostacolano i movimenti, fanno parte di me. 

Se vuoi capire come funzionano, chiedimelo pure — parlarne aiuta entrambi a gestire meglio gli allenamenti. 

Non preoccuparti: so bene cosa devo fare. 

  1. Non farmi sentire un rischio o un problema

La paura del giudizio, a volte può pesare più del diabete. A volte è difficile dire apertamente di avere il diabete, soprattutto in ambienti sportivi competitivi. Non farmi sentire un peso o un rischio per la squadra. Trattami come un atleta, non come un problema da gestire. Accogliere la mia malattia con naturalezza e rispetto mi permette di esprimermi al meglio, e anche di fidarmi di te. 

  1. Evita paragoni con gli altri, e ascoltami

Ognuno ha i propri ritmi, a prescindere dal diabete di tipo 1. Non mi serve che tu sappia tutto sulla malattia, ma che tu sia disposto ad ascoltare e ad adattare qualcosa, se serve. Sapere dove tengo il glucosio, cosa fare se mi sento male o semplicemente chiedermi “tutto ok?” può fare la differenza. 

  1. Lo sport mi aiuta a stare bene, anche con il diabete

Allenarmi migliora il mio equilibrio glicemico, la mia autostima e il mio benessere mentale. Lo sport è parte della mia terapia, non un rischio da evitare. Con un po’ di attenzione e comprensione reciproca, posso allenarmi senza problemi. 

Lo sport non mi definisce nonostante il diabete. 

Mi definisce insieme al diabete. 

E questo fa tutta la differenza. 

Allenare una persona con diabete significa allenare anche la fiducia, la conoscenza e il rispetto. 

E quando c’è tutto questo, la performance arriva da sola. 

Se ti ha fatto riflettere, condividilo: può aiutare qualcuno a sentirsi accolto e qualcun altro a capire meglio

Un grazie speciale a Cristina Cucchiarelli – Pronking – Sport & Diabete che ci ha aiutato a scrivere questo post.

 

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Novità

Giordano Spacco vince la prima Borsa di Studio Sofia Filippini

Cos’è la Borsa di Studio “Sofia Filippini”

La Borsa di Studio Sofia Filippini nasce dalla collaborazione tra Fondazione Italiana Diabete e l’Associazione Diabetici della Provincia di Brescia, con il supporto economico della Fondazione Bianca Ballabio per il 2025.

È destinata a giovani specializzandi e neo-specialisti che desiderano svolgere un progetto di ricerca all’estero per almeno sei mesi, con un unico obiettivo: avvicinarci alla cura definitiva del diabete di tipo 1.

il suo significato

La borsa porta il nome di Sofia Filippini, giovane donna con diabete di tipo 1, venuta a mancare poco dopo la laurea in medicina.

In sua memoria, FID offre ad altri giovani medici l’opportunità di crescere scientificamente e umanamente, contribuendo a un futuro senza diabete di tipo 1.

Scopri di più sulla Borsa di Studio Sofia Filippini
il vincitore

Nel 2025, la borsa del valore di 18.000 euro è stata assegnata a Giordano Spacco, specializzando in pediatria al quarto anno presso l’Università di Genova.

Il dott. Spacco, nonostante la giovane età, ha un curriculum scientifico di grande valore e una passione per lo studio del diabete di tipo 1 che lo ha portato a partecipare a molti campi educativi per bambini con diabete.

il progetto

Attualmente Giordano si trova all’Università di Lovanio, in Belgio, sotto la supervisione della prof.ssa Chantal Mathieu.

Qui collabora a studi clinici sulla preservazione della funzione beta-cellulare e su nuovi approcci per l’identificazione e la gestione del diabete in fase pre-clinica.

l progetto del dott. Spacco, per cui ha vinto la borsa di studio, è un progetto visionario che potrebbe cambiare in futuro il disegno dei trial clinici in ambito di prevenzione e permettere a tutti i bambini ed adulti a rischio di diabete di poter accedere ai farmaci in sperimentazione e non dover far parte dei gruppi di controllo che prendono un placebo.

L’idea è quella di costruire un modello per sostituire le persone che devono prendere un placebo nei trial clinici, con coorti di controllo provenienti da precedenti trial o banche dati.

Se validato, questo approccio accelererà la ricerca in prevenzione e permetterà in maniera etica ed equa a tutti di accedere alle terapie più innovative.

Con la Borsa di Studio Sofia Filippini vogliamo sostenere giovani ricercatori come il Dottor Spacco, che mettono talento, passione e dedizione al servizio di una causa comune: trovare la cura definitiva per il diabete di tipo 1.

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Novità Ricerca

EASD 2025: in 5 punti tutto quello che c’è da sapere

Anche quest’anno FID era presente all’EASD, il congresso annuale della European Association for the Study of Diabetes, per tenervi aggiornati su tutte le novità della ricerca di una cura al diabete di tipo 1. Il congresso era a Vienna e si è concluso la scorsa settimana e per la prima volta si è parlato moltissimo di diabete di tipo 1.

Ecco qui il riassunto in 5 punti della nostra Direttrice Generale, Francesca Ulivi.

  1. Il miglio si accorcia per arrivare a terapie cellulari per tutti

Da anni si parla della possibilità di sostituire le cellule beta distrutte dal sistema immunitario nel diabete di tipo 1. Finora è stato possibile grazie alle infusioni/trapianti di isole da pancreas di persone decedute e con immunosoppressione. Una terapia cui possono avere accesso pochi di noi, e solo se hanno alcune complicanze. Gli aggiornamenti presentati a Vienna sono stati moltissimi:

  • Il trial più avanzato riguarda il prodotto “zimislecel”, terapia con staminali che producono insulina, con immunosoppressione: su 12 partecipanti, 10 sono liberi dalle iniezioni di insulina da almeno un anno. Vertex sta reclutando nuovi partecipanti per la fase successiva e a breve sottoporrà Zimislecel all’approvazione della FDA.
  • Tecnologie innovative come idrogel impiantabili o cellule trattate con la tecnologia ipoimmune (Sana) stanno aprendo la strada a trapianti senza necessità di immunosoppressione cronica. Alcuni esempi presentati sono AdoShell di Adocia (Francia), o le soluzioni presentate dalla startup Allarta.
  • Aziende e laboratori di ricerca stanno portando questi approcci sempre più vicini alla pratica clinica: non c’è un solo laboratorio o un solo paese che ci sta lavorando, ma molti, in tutto il mondo.

Queste terapie, una volta eliminata o ridotta l’immunosoppressione potrebbero liberare i 9 milioni e mezzo di persone con diabete di tipo 1 dalle iniezioni di insulina.

  1. Il miglio si accorcia anche nella prevenzione del diabete di tipo 1

Preservare anche solo una parte della funzione delle cellule beta in esordio di malattia o prima dell’esordio significa rallentare la progressione del diabete, ridurre complicanze e in futuro si spera fermarlo e prevenirlo. All’EASD sono stati presentati dati importanti su diverse terapie:

  • MELD-ATG ha mostrato che una dose molto bassa di ATG (farmaco usato nei trapianti) può mantenere più a lungo la produzione naturale di insulina, con meno effetti collaterali.
  • Verapamil, un farmaco per la pressione, ha dato risultati contrastanti: nessun effetto significativo nei 12 mesi di studio, ma segnali interessanti che giustificano ulteriori ricerche.
  • Baricitinib, la prima terapia orale che modifica il corso della malattia, ha mostrato la capacità di ritardare la progressione del T1D; tuttavia l’effetto scompare alla sospensione del trattamento.

Sono tutti passi fondamentali per arrivare a farmaci che non curano i sintomi, ma bloccano la malattia alla radice e che in futuro potranno permettere di non far ammalare più nessuno.

  1. L’Italia ha fatto la storia con la legge sugli screening: un “consensus” internazionale raccomanda quel che è scritto nella legge

Un gruppo internazionale di esperti ha raggiunto un consenso sullo screening del diabete di tipo 1 che verrà pubblicato a breve, ma che è stato presentato all’EASD. Le raccomandazioni sono le stesse presenti nella legge 130/23 promossa e sostenuta da FID due anni fa.

Ecco cosa dice il consensus:

  • Si raccomanda lo screening degli autoanticorpi (gli unici che predicono la malattia) e non lo screening genetico (che predice solo una eventuale predisposizione)
  • Si raccomanda lo screening di tutti i bambini, non solo dei familiari di persone con diabete di tipo 1, perché più del 95% delle persone con diabete di tipo 1 non ha familiari con la malattia e gli esordi in chetoacidosi in questi casi sono più frequenti
  • Identificare i bambini prima dell’esordio clinico, riducendo il rischio di chetoacidosi.
  • Identificare le fasi prodromiche della malattia permette di avviare tempestivamente trattamenti sperimentali o approvati che rallentano la progressione.
  • Lo screening evita il trauma dell’esordio in ospedale o terapia intensiva alle famiglie e da loro più tempo per prepararsi e imparare a gestire la malattia.

Tutti i programmi di screening fatti con finalità di ricerca raccomandano quanto sopra. Ora speriamo che il governo italiano e le Regioni finalmente diano applicazione in tutto il territorio alla legge. Senza lo screening continuano gli esordi in chetoacidosi e non si accellera la ricerca per prevenire la malattia!

  1. “Diabetes Distress”: per la prima volta presentate delle linee guida ufficiali, che riconoscono il problema e lo affrontano.

Questo punto non ha a che fare con la ricerca, ma con la quotidianità di tutto noi: il “diabetes distress” è il peso emotivo e psicologico della gestione quotidiana del diabete (frustrazione, senso di colpa, sopraffazione), diverso dalla depressione ma ugualmente importante per la qualità della vita. All’EASD sono state presentate le linee guida ufficiali per aiutare medici e operatori a:

  • valutare e trattare il distress in contesti clinici reali
  • offrono una griglia di classificazione che indirizza le decisioni terapeutiche e promuovono la standardizzazione della cura

La cura del diabete non riguarda solo insulina, glicemie e tecnologie, ma anche la salute emotiva di chi convive con la malattia ed è fondamentale che il sistema socio-sanitario riconosca e si prenda cura del problema. Per arrivare alla cura definitiva senza complicanze e senza esaurimenti.

  1. Orgoglio italiano: il nuovo Presidente dell’EASD è Francesco Giorgino e sarà cn noi alla prossima “Domenica della Ricerca”

Il professor Francesco Giorgino, endocrinologo di Bari e ricercatore di fama internazionale diventerà presidente dell’EASD a partire da gennaio 2026.
Il professor Giorgino sarà ospite della prossima puntata della “Domenica della Ricerca” dedicata proprio all’EASD 2025: stiamo decidendo la data, quindi seguiteci per sapere quando sarà, preparate le domande per lui e partecipate!

L’EASD 2025 ci lascia un messaggio chiaro: la ricerca non si ferma, è un momento particolarmente e passo dopo passo ci avvicina a una vita migliore per chi convive con il diabete di tipo 1.

FID continua a sostenere la ricerca più promettente e a fare pressione sulle istituzioni perché siano con noi in questo sforzo, ed è qui ogni giorno per aggiornarvi sulle novità, con l’obiettivo di arrivare a ciò che tutti noi desideriamo: una cura definitiva.

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Novità

DIABETE DI TIPO 1 AL LAVORO: 10 COSE DA RICORDARE AI TUOI COLLEGHI 

Hai il diabete di tipo 1 e sei al lavoro?Tra riunioni, deadline e pause caffè, spiegare davvero cosa significhi convivere con il diabete di tipo 1 sul posto di lavoro non è sempre facile.  

Ecco 10 cose – a volte scomode – che i tuoi colleghi dovrebbero sapere: 

  1. Non è solo questione di “non mangiare dolci in pausa caffè”
    Il diabete di tipo 1 non dipende dalla dieta. Non basta dire “evita la brioche” per risolvere la situazione. Ogni giorno devo fare i conti con controlli glicemici, dosi di insulina e un equilibrio costante tra alimentazione, attività fisica e stress. Il diabete di tipo 1 è molto più complesso di un semplice “non puoi mangiare zuccheri”. Peraltro, gli zuccheri li possiamo e dobbiamo mangiare, facendo insulina. E, in caso di ipoglicemia, lo zucchero per noi diventa un salvavita!

 

  1. Ci sono notifiche che non posso silenziare, nemmeno in riunione.
    Porto sempre con me dispositivi che possono suonare, vibrare o lampeggiare in qualunque momento: sono il microinfusore e/o il sensore glicemico. Possono sembrare un cellulare o uno smartwatch, ma non lo sono. Quando emettono un allarme devo controllare subito la mia glicemia e agire velocemente, anche se sono in call o in riunione. E no, non posso levarli, nemmeno la notte quando dormo: senza l’insulina erogata dal micro purtroppo finisco in ospedale.

 

  1. Se guardo il telefono spesso, non sto scrollando su Instagram
    Può capitare che durante il giorno io debba controllare spesso il cellulare o un display: non è mancanza di rispetto né distrazione. Sto verificando i dati del sensore o del microinfusore, per assicurarmi che la glicemia sia stabile. Non significa che non stia prestando attenzione: sto solo tenendo d’occhio qualcosa che, per me, è fondamentale. Se ho il diabete di tipo 1 sono in grado di fare due cose assieme, perchè una parte del mio cervello è sempre impegnata a fare il pancreas.

 

  1. Una pausa bagno extra non è “per perdere tempo”
    Quando la glicemia è alta, qualsiasi corpo reagisce così: devo andare in bagno più spesso e bere di più. Non è una scusa per sfuggire al lavoro, né un modo per allungare la pausa. È un sintomo fisiologico del diabete, che devo rispettare per stare meglio e rimettermi a lavorare con lucidità.

 

  1.  Se mi vedi più lento o confuso, dammi un poco di tempo in più

Il diabete influisce sulla concentrazione e sull’energia. Una glicemia troppo alta o troppo bassa può rallentarmi, rendermi meno lucido o farmi commettere errori. Non significa che io non abbia voglia di lavorare, ma che in quel momento il mio corpo e la mia mente sono affaticati e hanno bisogno di più tempo.  

  1.  Lo zucchero, il glucosio e il glucagone nei casi più gravi mi salvano la vita.

In caso di ipoglicemia, ovvero quando la glicemia va sotto 70 mg/dl, ho bisogno immediato di prendere zucchero o glucosio ed è qualcosa che sono abituato a fare da solo. Tuttavia, nei casi di ipoglicemia molto grave potrei perdere i sensi, sragionare o non riuscire a prendere da solo lo zucchero. Fammi sapere se in quei casi posso contare su di te, così posso spiegarti brevemente cosa fare.   
 

  1. Se a volte ho bisogno di più tempo o chiedo lo smart working, non lo faccio perché voglio lavorare meno
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    Il diabete a volte pesa sul mio ritmo di lavoro. Notti insonni, glicemie alte o problemi con i device possono rallentarmi, anche quando ci metto tutta la mia energia e concentrazione. Non sempre la produttività dipende solo da me, anche se faccio del mio meglio per dare sempre il massimo. Allo stesso modo nei giorni in cui il diabete prende il sopravvento lo smart working mi potrebbe aiutare a rimettermi in carreggiata senza perdere produttività.

 

  1. Non fare battute sul diabete, se non sai di cosa parli
    Lo so che a volte le battute sembrano leggere o simpatiche, ma in realtà possono ferire. Frasi come “basta pasticcini che ti viene il diabete” minimizzano quello che vivo ogni giorno e mi fanno sentire etichettato. Se non conosci bene la mia situazione, è meglio evitare. Se vuoi approfondire cosa significhi, io sono sempre a disposizione per parlarne.

 

  1. Gestire il diabete è un lavoro extra, oltre al mio lavoro vero
    Dietro le mie attività quotidiane ci sono controlli costanti, calcoli, dosi, allarmi e correzioni. Una persona con diabete di tipo 1 prende in media 180 decisioni al giorno in più di chi non lo ha.  Tutto questo richiede energie e attenzione, e spesso avviene “dietro le quinte”. Io non mi lamento, ma per favore ricordati che per tutta la vita io ho due lavori: il mio lavoro e la gestione del diabete.

 

  1. La tua comprensione fa la differenza
    Non c’è niente di più bello di un collega o un capo che mostra empatia. Non serve trattarmi diversamente dagli altri, ma sapere che posso avere dei bisogni speciali e non devo sempre giustificarmi mi aiuta a lavorare meglio e con più serenità. Piccoli gesti di comprensione possono trasformare l’ufficio in un posto più inclusivo per tutti.

 

Infine, per te che hai il diabete: 

Se non sai come dire sul posto di lavoro che hai il diabete di tipo 1 o se hai bisogno di supporto legale e informativo per conoscere i tuoi diritti sul luogo di lavoro rivolgiti alla tua associazione di riferimento. 

Se non hai una associazione di riferimento contattaci e ti collegheremo con quella più vicino a te o con gli esperti che possono aiutarti (puoi scrivere a segreteria@fondazionediabete.org) 

Avere il diabete di tipo 1 non è una colpa, è importante che chi passa tanto tempo con te, come i colleghi di lavoro lo sappia e sappia come aiutarti in caso di bisogno.