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FID al Parlamento Britannico per presentare la l. 130/23 sullo screening

Siamo lieti di condividere un importante riconoscimento internazionale per l’Italia e per il lavoro svolto da Fondazione Italiana Diabete (FID). L’Italia – grazie alla Legge 130/23, che ha introdotto lo screening pediatrico per il diabete di tipo 1 e per la celiachia – è entrata nel dibattito internazionale sulla prevenzione del diabete.
Mercoledì scorso, il Prof. Emanuele Bosi, Presidente del nostro Comitato Scientifico, è stato invitato a intervenire presso l’All Party Parliamentary Group for Diabetes (APPG) del Parlamento del Regno Unito – un intergruppo parlamentare dedicato specificamente al diabete – per presentare i dettagli della “nostra” legge e l’esperienza pilota del progetto D1CE.

Il contesto e gli obiettivi

Durante l’incontro, il Professor Bosi ha illustrato il percorso che ha portato all’approvazione della Legge 130/23 in Italia, mettendo in luce:

  • il razionale scientifico alla base dello screening precoce del diabete di tipo 1;
  • i capisaldi della legge: screening degli anticorpi nell’intera popolazione pediatrica, non solo i familiari, come strumento di salute pubblica per prevenire la chetoacidosi diabetica in esordio e permettere lo sviluppo di terapie che modificano il corso della malattia, accompagnato da una campagna nazionale di comunicazione;
  • i risultati dello studio pilota D1CE, volto a verificare l’efficacia pratica dello screening in età pediatrica;
  • le potenzialità di estendere questo modello ad altre realtà nazionali, in particolare al Regno Unito.

L’obiettivo – condiviso da FID – è che il Parlamento inglese prenda in considerazione un provvedimento analogo, che renda lo screening del diabete di tipo 1 un’attività sistematica di sanità pubblica anche nel Regno Unito.

Il ruolo di Breakthrough T1D UK e il White Paper

L’iniziativa è stata ospitata da Breakthrough T1D UK, che da tempo esercita una forte pressione affinché nel Regno Unito venga avviato uno screening di popolazione per il diabete di tipo 1, con due obiettivi principali:

  1. Ridurre il ricorso alla chetoacidosi in esordio (DKA) – che in alcune regioni del Regno Unito riguarda fino al 60% dei bambini al momento della diagnosi. 
  2. Permettere un intervento precoce che possa ritardare la comparsa della malattia sintomatica, migliorare l’impatto clinico e ridurre gli oneri assistenziali. 

In questa occasione, Breakthrough T1D UK ha presentato un documento intitolato Changing the story: Why early detection of type 1 diabetes must become the norm”. Il White Paper — disponibile integralmente online — analizza:

  • le evidenze scientifiche a supporto dello screening precoce (autoanticorpi, fasi precliniche del diabete di tipo 1) 
  • le implicazioni cliniche e di sistema: diagnosi prima della DKA, riduzione delle ospedalizzazioni e ottimizzazione dell’approccio terapeutico; 
  • le raccomandazioni per la realizzazione di un programma nazionale di screening, includendo sensibilizzazione, accesso al test e corretta infrastruttura di follow-up. 

Per leggere il documento completo: Why early detection of type 1 diabetes must become the norm – Breakthrough T1D UK

L’Italia come modello internazionale

La partecipazione italiana a questo dibattito testimonia come la Legge 130/23 rappresenti un esempio concreto e riconosciuto a livello internazionale. Il modello italiano infatti ha già definito:

  • la fattibilità tecnica dello screening pediatrico per il diabete di tipo 1 e per la celiachia;
  • un modello operativo sperimentale (progetto D1CE) che ha alimentato i passaggi normativi;
  • un potenziale impatto tangibile in termini di prevenzione, diagnosi precoce e miglioramento della qualità di vita per bambini e famiglie.

FID è orgogliosa che il suo impegno nel campo della ricerca e della prevenzione venga valorizzato anche fuori dai confini nazionali.

Il valore della vostra partecipazione

Questo traguardo non sarebbe stato possibile senza l’impegno del nostro comitato scientifico, dei ricercatori, delle istituzioni sanitarie e di tutti coloro che, con il loro sostegno, rendono possibile la nostra azione.
Il contributo di chi ci sostiene ci permette non solo di arrivare prima ad una cura del diabete di tipo 1, ma anche di intervenire oggi per migliorare la vita di chi è destinato ad ammalarsi.

Vi invitiamo a seguire gli aggiornamenti su questa iniziativa, e a restare informati sulle prossime tappe operative. Insieme possiamo contribuire a costruire un futuro in cui il diabete di tipo 1 sia diagnosticato prima dei sintomi e della chetoacidosi diabetica e gestito prima che diventi malattia conclamata, allontanando sempre di più il giorno in cui si rende necessaria l’insulina e, in ultima analisi, aprendo la strada alla prevenzione di questa malattia. Perché il nostro obiettivo non è solo guarire i 9 milioni di persone che già soffrono di diabete di tipo 1, ma non far ammalare le centinaia di milioni destinate ad ammalarsi nei prossimi anni.

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Un Nobel che parla di noi!

Il Nobel per la medicina 2025 è molto importante per le persone con diabete di tipo 1

Il Premio Nobel per la Medicina 2025 è stato assegnato la scorsa settimana a Mary E. Brunkow, Fred Ramsdell e Shimon Sakaguchi per le loro scoperte fondamentali sui meccanismi che mantengono l’equilibrio del sistema immunitario e impediscono che esso attacchi il proprio corpo.

Può sembrare un argomento lontano dal diabete, ma non lo è affatto: questo Nobel riconosce ricerche che hanno aperto la strada a nuove strategie per fermare le malattie autoimmuni, tra cui anche il diabete di tipo 1.

Le scoperte premiate: chi sono le “guardiane” del sistema immunitario?

I tre scienziati hanno scoperto e caratterizzato un tipo particolare di cellule immunitarie, chiamate linfociti o cellule T regolatorie (in breve T-reg), che agiscono come “freni” del sistema immunitario, come cellule che portano “pace”.
La loro funzione è fondamentale: evitare che altri tipi di linfociti (per esempio quelli citotossici, che sono aggressivi) attacchino i tessuti sani dell’organismo.

Negli anni ’90, il giapponese Shimon Sakaguchi fu tra i primi a identificare queste cellule e a dimostrare che la loro assenza porta allo sviluppo spontaneo di malattie autoimmuni. Mary Brunkow e Fred Ramsdell scoprirono successivamente il gene FOXP3, che “accende” il programma genetico delle T-reg e permette loro di funzionare correttamente.
Mutazioni di questo gene FOXP3, infatti, causano gravi sindromi autoimmuni già nei bambini (come ad esempio una malattia terribile che si chiama IPEX).

Insieme, questi lavori hanno dimostrato che la tolleranza immunitaria — cioè la capacità del nostro sistema immunitario di distinguere tra “self” (cellule dello stesso corpo) e “non-self” (invasori esterni tipo virus o batteri o formazioni cancerose) — non si costruisce solo nel timo (la cosiddetta tolleranza centrale), ma viene mantenuta continuamente anche in periferia, grazie all’azione di queste cellule T-reg.
È questa “sorveglianza costante” che impedisce al sistema immunitario di rivolgersi contro il corpo stesso.

Diabete di tipo 1: quando il sistema immunitario si ribella e uccide le cellule che funzionano

Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune: il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule β del pancreas, che producono insulina.
Quando le cellule T regolatorie non funzionano bene — o sono troppo poche — non riescono a fermare l’attacco dei linfociti “aggressori o citotossici”, e così le cellule pancreatiche vengono gradualmente eliminate e il pancreas non riesce più a produrre insulina.

In pratica, è come se il sistema immunitario “dimenticasse” che quelle cellule fanno parte del corpo.
Ed è proprio qui che entrano in gioco le ricerche dei tre Nobel: capire e rafforzare i meccanismi di tolleranza immunitaria è la chiave per evitare questo attacco autodistruttivo.

Dalla scoperta di base alla ricerca per una cura

Le scoperte sulle T-reg non sono solo un passo avanti teorico, ma la base di nuove terapie sperimentali oggi in corso in diversi centri di ricerca nel mondo, tra cui anche in Italia.
L’obiettivo è ripristinare la tolleranza immunitaria e fermare la malattia alla radice.

I principali filoni di ricerca riguardano:

  1. Terapie cellulari con T-reg: isolare le T-reg da un paziente, espanderle in laboratorio e reintrodurle per rinforzare i meccanismi di controllo del sistema immunitario. Studi pilota hanno dimostrato che le terapie cellulari con T-reg sono fattibili e ben tollerate, ma ancora poco efficaci nel il diabete di tipo 1 e altre patologie autoimmuni. Per questo si sta lavorando per istruire le T-reg a riconoscere in modo specifico gli antigeni delle isole di Langherans con lo scopo di ottenere una tolleranza mirata per il diabete di tipo 1.
  2. Migliorare la funzione delle T-reg: potenziare la loro stabilità e resistenza all’infiammazione (per esempio, attraverso molecole come IL-2 o IL-7, che ne sostengono la sopravvivenza).
  3.  Identificare chi è a rischio: scoprire biomarcatori che segnalano una disfunzione delle T-reg nei soggetti predisposti, così da intervenire prima che il diabete si sviluppi.
Il commento del ricercatore Paolo Monti (finanziato da FID)

“Mentre la maggior parte delle cellule immunitarie sono addestrate per combattere, le cellule T regolatorie sono i pacificatori. Senza questi pacificatori, saremmo tutti bloccati in infinite guerre civili contro i nostri stessi tessuti. Grazie a loro, abbiamo equilibrio, tolleranza e il ricordo che a volte gli eroi sono proprio coloro che impediscono la lotta.”

Il ricercatore Paolo Monti, del Diabetes Research Institute di Milano, sostenuto da FID nella sua ricerca volta a trovare una terapia al diabete di tipo 1 che utilizzi proprio le T-Reg, ha commentato così sui suoi profili social questo premio.

Perché questo Nobel è anche una speranza

Il Nobel per la Medicina 2025 non è solo un premio al passato, ma una finestra aperta sul futuro: ha riconosciuto l’importanza di un meccanismo biologico che, se compreso e modulato, può trasformare il modo in cui curiamo le malattie autoimmuni.

Per le persone con diabete di tipo 1, significa guardare avanti con più fiducia: non solo controllare la glicemia, ma fermare la malattia alla sua origine, intervenendo sul sistema immunitario stesso.

Fondazione Italiana Diabete: investire nella ricerca che cambia il futuro

La Fondazione Italiana Diabete sostiene progetti di ricerca innovativi proprio in questa direzione:

  • studi sulle cellule T regolatorie,
  • sviluppo di immunoterapie personalizzate,
  • e iniziative per prevenire il diabete tipo 1 nelle persone a rischio.

Il Nobel 2025 è la conferma che è importante percorrere questa strada.
Capire il sistema immunitario non serve solo a “curare meglio” — ma a cambiare il corso della malattia.

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SPORT E DIABETE DI TIPO 1: 10 COSE CHE ALLENATORI E ALLENATRICI DEVONO SAPERE 

 

Quando inizio ad allenarmi, non porto solo l’attrezzatura sportiva.  

Porto anche un sensore, un microinfusore o delle penne d’insulina, e la consapevolezza che ogni allenamento è un nuovo viaggio di conoscenza e crescita. 

Fare sport con il diabete di tipo 1 è possibile. 

Non serve proteggermi o escludermi, ma capirmi e ascoltarmi. 

L’attività fisica è una parte fondamentale della mia vita e, con il giusto supporto, può diventare anche una grande alleata nella gestione del diabete. 

Capirmi non significa trattarmi diversamente dagli altri. Significa allenare anche la fiducia. 

Ecco 10 cose – vere, concrete e spesso fraintese – che ogni allenatore/allenatrice dovrebbe sapere quando allena una persona con diabete di tipo 1. 

  1. Posso fare qualsiasi sport, a qualsiasi livello

Non c’è un “non puoi” nel diabete di tipo 1. Posso correre, nuotare, sollevare pesi, competere. Il diabete è una patologia che richiede attenzione e conoscenza. Dietro ogni atleta con diabete c’è un lavoro extra: imparare a conoscere il proprio corpo e capire come reagisce a ogni tipo di allenamento. Con il giusto equilibrio, posso fare tutto. 

  1. Se ti dico che devo controllare la glicemia, non sto cercando scuse

Durante un allenamento o una gara, controllare la glicemia è un gesto necessario, che mi mette in sicurezza, può significare fermarsi un minuto per capire come sto. Non è una pausa “per comodità”. A volte serve prima, durante o dopo l’attività: fa parte del mio allenamento, come il riscaldamento o lo stretching. 

Per favore, evita commenti fuori luogo e non farmi pesare il fatto che devo farlo. 

Può capitare che usi il telefono per leggere la glicemia o per controllare  

un’app collegata al sensore. 

Non è distrazione: è parte della mia gestione quotidiana della malattia. 

  1. Non ho paura di faticare, ma devo gestire i miei tempi

L’intensità, la durata e il tipo di esercizio possono far oscillare la glicemia in modi diversi. A volte ho bisogno di partire con un po’ di zuccheri in più, altre di rallentare per evitare un’ipoglicemia. Lasciami il tempo di capire il mio corpo: non è mancanza di grinta, è consapevolezza. Imparare a conoscersi è parte della disciplina sportiva. Aiutami a fare le cose con equilibrio, non a rinunciarci per paura. 

  1. Non trattarmi come “quello/a che deve sempre mangiare”

Quando la glicemia si abbassa, devo agire subito. 

Una bevanda, una barretta o delle caramelle non sono un semplice “snack”, ma strumenti di sicurezza che in certi casi mi salvano la vita. 

I carboidrati semplici (come zucchero e glucosio) agiscono rapidamente e devono essere sempre a portata di mano. 

Per questo porto con me una piccola borsa o zaino, contiene tutto ciò che mi serve e va tenuta vicino. È il mio salvavita. 

Se mi vedi un po’ confuso/a, pallido/a o disorientato/a, chiedimi se sto bene e aiutami a prendere qualcosa di zuccherato. 

È un gesto semplice, ma può fare la differenza. 

  1. Non trattarmi con eccessiva cautela, ma con fiducia.

Le variazioni glicemiche non si vedono, ma si sentono. 

Non serve allarmarsi o fermare tutto: serve ascolto e fiducia. 

Se ti dico che ho bisogno di un momento, lasciami gestire la situazione. 

Non è debolezza, è consapevolezza. 

Un atleta o un’atleta con diabete sa riconoscere i propri segnali e agire in tempo: aiutami solo a farlo con serenità. 

  1. Non giudicare una performance peggiore come mancanza di volontà o disciplina

Non tutti i giorni il mio corpo reagisce allo stesso modo: il diabete non segue schemi fissi. 

Ci sono giornate in cui mi sento forte e altre in cui il mio corpo fa fatica, anche se mi impegno allo stesso modo. È quello che succede a ogni atleta. 

L’importante è il percorso, non la singola prestazione. 

  1. Se uso un microinfusore o un sensore, non preoccuparti

Servono per monitorare la glicemia in tempo reale o per somministrare insulina. 

Possono vibrare o suonare: è normale.  

Non ostacolano i movimenti, fanno parte di me. 

Se vuoi capire come funzionano, chiedimelo pure — parlarne aiuta entrambi a gestire meglio gli allenamenti. 

Non preoccuparti: so bene cosa devo fare. 

  1. Non farmi sentire un rischio o un problema

La paura del giudizio, a volte può pesare più del diabete. A volte è difficile dire apertamente di avere il diabete, soprattutto in ambienti sportivi competitivi. Non farmi sentire un peso o un rischio per la squadra. Trattami come un atleta, non come un problema da gestire. Accogliere la mia malattia con naturalezza e rispetto mi permette di esprimermi al meglio, e anche di fidarmi di te. 

  1. Evita paragoni con gli altri, e ascoltami

Ognuno ha i propri ritmi, a prescindere dal diabete di tipo 1. Non mi serve che tu sappia tutto sulla malattia, ma che tu sia disposto ad ascoltare e ad adattare qualcosa, se serve. Sapere dove tengo il glucosio, cosa fare se mi sento male o semplicemente chiedermi “tutto ok?” può fare la differenza. 

  1. Lo sport mi aiuta a stare bene, anche con il diabete

Allenarmi migliora il mio equilibrio glicemico, la mia autostima e il mio benessere mentale. Lo sport è parte della mia terapia, non un rischio da evitare. Con un po’ di attenzione e comprensione reciproca, posso allenarmi senza problemi. 

Lo sport non mi definisce nonostante il diabete. 

Mi definisce insieme al diabete. 

E questo fa tutta la differenza. 

Allenare una persona con diabete significa allenare anche la fiducia, la conoscenza e il rispetto. 

E quando c’è tutto questo, la performance arriva da sola. 

Se ti ha fatto riflettere, condividilo: può aiutare qualcuno a sentirsi accolto e qualcun altro a capire meglio

Un grazie speciale a Cristina Cucchiarelli – Pronking – Sport & Diabete che ci ha aiutato a scrivere questo post.

 

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EASD 2025: in 5 punti tutto quello che c’è da sapere

Anche quest’anno FID era presente all’EASD, il congresso annuale della European Association for the Study of Diabetes, per tenervi aggiornati su tutte le novità della ricerca di una cura al diabete di tipo 1. Il congresso era a Vienna e si è concluso la scorsa settimana e per la prima volta si è parlato moltissimo di diabete di tipo 1.

Ecco qui il riassunto in 5 punti della nostra Direttrice Generale, Francesca Ulivi.

  1. Il miglio si accorcia per arrivare a terapie cellulari per tutti

Da anni si parla della possibilità di sostituire le cellule beta distrutte dal sistema immunitario nel diabete di tipo 1. Finora è stato possibile grazie alle infusioni/trapianti di isole da pancreas di persone decedute e con immunosoppressione. Una terapia cui possono avere accesso pochi di noi, e solo se hanno alcune complicanze. Gli aggiornamenti presentati a Vienna sono stati moltissimi:

  • Il trial più avanzato riguarda il prodotto “zimislecel”, terapia con staminali che producono insulina, con immunosoppressione: su 12 partecipanti, 10 sono liberi dalle iniezioni di insulina da almeno un anno. Vertex sta reclutando nuovi partecipanti per la fase successiva e a breve sottoporrà Zimislecel all’approvazione della FDA.
  • Tecnologie innovative come idrogel impiantabili o cellule trattate con la tecnologia ipoimmune (Sana) stanno aprendo la strada a trapianti senza necessità di immunosoppressione cronica. Alcuni esempi presentati sono AdoShell di Adocia (Francia), o le soluzioni presentate dalla startup Allarta.
  • Aziende e laboratori di ricerca stanno portando questi approcci sempre più vicini alla pratica clinica: non c’è un solo laboratorio o un solo paese che ci sta lavorando, ma molti, in tutto il mondo.

Queste terapie, una volta eliminata o ridotta l’immunosoppressione potrebbero liberare i 9 milioni e mezzo di persone con diabete di tipo 1 dalle iniezioni di insulina.

  1. Il miglio si accorcia anche nella prevenzione del diabete di tipo 1

Preservare anche solo una parte della funzione delle cellule beta in esordio di malattia o prima dell’esordio significa rallentare la progressione del diabete, ridurre complicanze e in futuro si spera fermarlo e prevenirlo. All’EASD sono stati presentati dati importanti su diverse terapie:

  • MELD-ATG ha mostrato che una dose molto bassa di ATG (farmaco usato nei trapianti) può mantenere più a lungo la produzione naturale di insulina, con meno effetti collaterali.
  • Verapamil, un farmaco per la pressione, ha dato risultati contrastanti: nessun effetto significativo nei 12 mesi di studio, ma segnali interessanti che giustificano ulteriori ricerche.
  • Baricitinib, la prima terapia orale che modifica il corso della malattia, ha mostrato la capacità di ritardare la progressione del T1D; tuttavia l’effetto scompare alla sospensione del trattamento.

Sono tutti passi fondamentali per arrivare a farmaci che non curano i sintomi, ma bloccano la malattia alla radice e che in futuro potranno permettere di non far ammalare più nessuno.

  1. L’Italia ha fatto la storia con la legge sugli screening: un “consensus” internazionale raccomanda quel che è scritto nella legge

Un gruppo internazionale di esperti ha raggiunto un consenso sullo screening del diabete di tipo 1 che verrà pubblicato a breve, ma che è stato presentato all’EASD. Le raccomandazioni sono le stesse presenti nella legge 130/23 promossa e sostenuta da FID due anni fa.

Ecco cosa dice il consensus:

  • Si raccomanda lo screening degli autoanticorpi (gli unici che predicono la malattia) e non lo screening genetico (che predice solo una eventuale predisposizione)
  • Si raccomanda lo screening di tutti i bambini, non solo dei familiari di persone con diabete di tipo 1, perché più del 95% delle persone con diabete di tipo 1 non ha familiari con la malattia e gli esordi in chetoacidosi in questi casi sono più frequenti
  • Identificare i bambini prima dell’esordio clinico, riducendo il rischio di chetoacidosi.
  • Identificare le fasi prodromiche della malattia permette di avviare tempestivamente trattamenti sperimentali o approvati che rallentano la progressione.
  • Lo screening evita il trauma dell’esordio in ospedale o terapia intensiva alle famiglie e da loro più tempo per prepararsi e imparare a gestire la malattia.

Tutti i programmi di screening fatti con finalità di ricerca raccomandano quanto sopra. Ora speriamo che il governo italiano e le Regioni finalmente diano applicazione in tutto il territorio alla legge. Senza lo screening continuano gli esordi in chetoacidosi e non si accellera la ricerca per prevenire la malattia!

  1. “Diabetes Distress”: per la prima volta presentate delle linee guida ufficiali, che riconoscono il problema e lo affrontano.

Questo punto non ha a che fare con la ricerca, ma con la quotidianità di tutto noi: il “diabetes distress” è il peso emotivo e psicologico della gestione quotidiana del diabete (frustrazione, senso di colpa, sopraffazione), diverso dalla depressione ma ugualmente importante per la qualità della vita. All’EASD sono state presentate le linee guida ufficiali per aiutare medici e operatori a:

  • valutare e trattare il distress in contesti clinici reali
  • offrono una griglia di classificazione che indirizza le decisioni terapeutiche e promuovono la standardizzazione della cura

La cura del diabete non riguarda solo insulina, glicemie e tecnologie, ma anche la salute emotiva di chi convive con la malattia ed è fondamentale che il sistema socio-sanitario riconosca e si prenda cura del problema. Per arrivare alla cura definitiva senza complicanze e senza esaurimenti.

  1. Orgoglio italiano: il nuovo Presidente dell’EASD è Francesco Giorgino e sarà cn noi alla prossima “Domenica della Ricerca”

Il professor Francesco Giorgino, endocrinologo di Bari e ricercatore di fama internazionale diventerà presidente dell’EASD a partire da gennaio 2026.
Il professor Giorgino sarà ospite della prossima puntata della “Domenica della Ricerca” dedicata proprio all’EASD 2025: stiamo decidendo la data, quindi seguiteci per sapere quando sarà, preparate le domande per lui e partecipate!

L’EASD 2025 ci lascia un messaggio chiaro: la ricerca non si ferma, è un momento particolarmente e passo dopo passo ci avvicina a una vita migliore per chi convive con il diabete di tipo 1.

FID continua a sostenere la ricerca più promettente e a fare pressione sulle istituzioni perché siano con noi in questo sforzo, ed è qui ogni giorno per aggiornarvi sulle novità, con l’obiettivo di arrivare a ciò che tutti noi desideriamo: una cura definitiva.

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DIABETE DI TIPO 1 AL LAVORO: 10 COSE DA RICORDARE AI TUOI COLLEGHI 

Hai il diabete di tipo 1 e sei al lavoro?Tra riunioni, deadline e pause caffè, spiegare davvero cosa significhi convivere con il diabete di tipo 1 sul posto di lavoro non è sempre facile.  

Ecco 10 cose – a volte scomode – che i tuoi colleghi dovrebbero sapere: 

  1. Non è solo questione di “non mangiare dolci in pausa caffè”
    Il diabete di tipo 1 non dipende dalla dieta. Non basta dire “evita la brioche” per risolvere la situazione. Ogni giorno devo fare i conti con controlli glicemici, dosi di insulina e un equilibrio costante tra alimentazione, attività fisica e stress. Il diabete di tipo 1 è molto più complesso di un semplice “non puoi mangiare zuccheri”. Peraltro, gli zuccheri li possiamo e dobbiamo mangiare, facendo insulina. E, in caso di ipoglicemia, lo zucchero per noi diventa un salvavita!

 

  1. Ci sono notifiche che non posso silenziare, nemmeno in riunione.
    Porto sempre con me dispositivi che possono suonare, vibrare o lampeggiare in qualunque momento: sono il microinfusore e/o il sensore glicemico. Possono sembrare un cellulare o uno smartwatch, ma non lo sono. Quando emettono un allarme devo controllare subito la mia glicemia e agire velocemente, anche se sono in call o in riunione. E no, non posso levarli, nemmeno la notte quando dormo: senza l’insulina erogata dal micro purtroppo finisco in ospedale.

 

  1. Se guardo il telefono spesso, non sto scrollando su Instagram
    Può capitare che durante il giorno io debba controllare spesso il cellulare o un display: non è mancanza di rispetto né distrazione. Sto verificando i dati del sensore o del microinfusore, per assicurarmi che la glicemia sia stabile. Non significa che non stia prestando attenzione: sto solo tenendo d’occhio qualcosa che, per me, è fondamentale. Se ho il diabete di tipo 1 sono in grado di fare due cose assieme, perchè una parte del mio cervello è sempre impegnata a fare il pancreas.

 

  1. Una pausa bagno extra non è “per perdere tempo”
    Quando la glicemia è alta, qualsiasi corpo reagisce così: devo andare in bagno più spesso e bere di più. Non è una scusa per sfuggire al lavoro, né un modo per allungare la pausa. È un sintomo fisiologico del diabete, che devo rispettare per stare meglio e rimettermi a lavorare con lucidità.

 

  1.  Se mi vedi più lento o confuso, dammi un poco di tempo in più

Il diabete influisce sulla concentrazione e sull’energia. Una glicemia troppo alta o troppo bassa può rallentarmi, rendermi meno lucido o farmi commettere errori. Non significa che io non abbia voglia di lavorare, ma che in quel momento il mio corpo e la mia mente sono affaticati e hanno bisogno di più tempo.  

  1.  Lo zucchero, il glucosio e il glucagone nei casi più gravi mi salvano la vita.

In caso di ipoglicemia, ovvero quando la glicemia va sotto 70 mg/dl, ho bisogno immediato di prendere zucchero o glucosio ed è qualcosa che sono abituato a fare da solo. Tuttavia, nei casi di ipoglicemia molto grave potrei perdere i sensi, sragionare o non riuscire a prendere da solo lo zucchero. Fammi sapere se in quei casi posso contare su di te, così posso spiegarti brevemente cosa fare.   
 

  1. Se a volte ho bisogno di più tempo o chiedo lo smart working, non lo faccio perché voglio lavorare meno
.
    Il diabete a volte pesa sul mio ritmo di lavoro. Notti insonni, glicemie alte o problemi con i device possono rallentarmi, anche quando ci metto tutta la mia energia e concentrazione. Non sempre la produttività dipende solo da me, anche se faccio del mio meglio per dare sempre il massimo. Allo stesso modo nei giorni in cui il diabete prende il sopravvento lo smart working mi potrebbe aiutare a rimettermi in carreggiata senza perdere produttività.

 

  1. Non fare battute sul diabete, se non sai di cosa parli
    Lo so che a volte le battute sembrano leggere o simpatiche, ma in realtà possono ferire. Frasi come “basta pasticcini che ti viene il diabete” minimizzano quello che vivo ogni giorno e mi fanno sentire etichettato. Se non conosci bene la mia situazione, è meglio evitare. Se vuoi approfondire cosa significhi, io sono sempre a disposizione per parlarne.

 

  1. Gestire il diabete è un lavoro extra, oltre al mio lavoro vero
    Dietro le mie attività quotidiane ci sono controlli costanti, calcoli, dosi, allarmi e correzioni. Una persona con diabete di tipo 1 prende in media 180 decisioni al giorno in più di chi non lo ha.  Tutto questo richiede energie e attenzione, e spesso avviene “dietro le quinte”. Io non mi lamento, ma per favore ricordati che per tutta la vita io ho due lavori: il mio lavoro e la gestione del diabete.

 

  1. La tua comprensione fa la differenza
    Non c’è niente di più bello di un collega o un capo che mostra empatia. Non serve trattarmi diversamente dagli altri, ma sapere che posso avere dei bisogni speciali e non devo sempre giustificarmi mi aiuta a lavorare meglio e con più serenità. Piccoli gesti di comprensione possono trasformare l’ufficio in un posto più inclusivo per tutti.

 

Infine, per te che hai il diabete: 

Se non sai come dire sul posto di lavoro che hai il diabete di tipo 1 o se hai bisogno di supporto legale e informativo per conoscere i tuoi diritti sul luogo di lavoro rivolgiti alla tua associazione di riferimento. 

Se non hai una associazione di riferimento contattaci e ti collegheremo con quella più vicino a te o con gli esperti che possono aiutarti (puoi scrivere a segreteria@fondazionediabete.org) 

Avere il diabete di tipo 1 non è una colpa, è importante che chi passa tanto tempo con te, come i colleghi di lavoro lo sappia e sappia come aiutarti in caso di bisogno.  

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Materiale informativo per insegnanti

Settembre è il mese delle ripartenze, soprattutto scolastiche! 

E come ogni anno anche i bimbi e ragazzi con diabete di tipo 1 si ritrovano ad affrontare un nuovo anno scolastico, magari una nuova classe e un nuovo insegnante a cui spiegare cosa vuol dire avere una malattia autoimmune da gestire continuamente durante l’orario scolastico.

È fondamentale quindi che gli insegnanti abbiamo tutte le informazioni necessarie per conoscere il diabete di tipo 1 e sapere cosa fare in caso di necessità.

Per questo abbiamo preparato due guide, una per bimbi e una per ragazzi, che si possono scaricare e stampare, o semplicemente condividere, da lasciare agli insegnanti – o a chi si occupa dei nostri bimbi o passa la giornata con i nostri ragazzi – per fornirgli una base di informazioni sul diabete di tipo 1.

Le domande sono tante, ma l’informazione e la conoscenza sono il primo strumento per fare in modo che i bimbi si sentano accolti e al sicuro e che anche i ragazzi più grandi possano vivere serenamente il percorso scolastico!

ps. il documento per i bimbi è stampabile in formato A3, abbiamo realizzato anche un formato in cui è possibile inserire il logo e/o i contatti dell’Associazione locale di riferimento.

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Alleati per la Cura: la voce delle persone e delle famiglie con diabete nella ricerca scientifica

Milena Torchia e Niccolò Rosi sono i primi volontari FID selezionati per affiancare due progetti di ricerca finanziati da Fondazione Italiana Diabete, inaugurando così “Alleati per la Cura”, il nuovo programma dedicato al coinvolgimento attivo delle persone e delle famiglie con diabete di tipo 1 all’interno della ricerca scientifica.

Una novità assoluta nel panorama italiano, un’iniziativa che mette in dialogo scienza e vissuto quotidiano, laboratorio e realtà, ricercatori e persone con diabete.

I primi “matching”

La selezione è avvenuta tra volontari FID che hanno completato con successo il corso di formazione internazionale da INPACT Associates, creato da INNODIA, e che si sono candidati per l’iniziativa.

I primi due abbinamenti sono:

Milena Torchia

Volontaria FID, INPACT Associate, persona con diabete di tipo 1 e professoressa di matematica
🔗 Affianca il Professor Timothy Foster dell’University of Florida
📌 Progetto: uso di terapie a mRNA per prevenire il diabete di tipo 1

Niccolò Rosi

Volontario FID, INPACT Associate, fratello di una ragazza con diabete di tipo 1 e studente di Medicina
🔗 Affianca il Professor Willem Staels della Vrije Universiteit Brussel / UZ Brussel
📌 Progetto: potenziamento della funzionalità e sopravvivenza delle cellule beta trapiantate attraverso l’uso del ferro.

Leggi qui la notizia completa sui vincitori del Grant FID–ISPAD 2024.

Come funziona la selezione

I volontari sono stati selezionati attraverso un processo in due fasi:

1️⃣ Valutazione quantitativa: FID ha attribuito un punteggio in base al livello di partecipazione attiva del volontario nell’anno precedente (da 0 a +3), e alla presenza o meno di precedenti esperienze di rappresentanza in eventi scientifici (da 0 a -3, premiando chi non ha ancora avuto tali opportunità).

2️⃣ Valutazione qualitativa: le lettere motivazionali dei candidati sono state rese anonime e valutate in modo indipendente da INNODIA.

I due candidati con il punteggio complessivo più alto (quantitativo + qualitativo) sono stati scelti come Alleati per la Cura per i Grant FID-ISPAD 2024.

Che cos’è “Alleati per la Cura”

Alleati per la Cura è il primo programma italiano che rende strutturale il coinvolgimento delle persone con diabete di tipo 1 nella ricerca scientifica. Ogni progetto finanziato da FID sarà abbinato a un volontario formato come INPACT Associate, che accompagnerà il percorso del ricercatore per un anno.

I volontari portano:

  • la loro esperienza quotidiana con il diabete,
  • uno sguardo esterno che aiuta i ricercatori a comunicare meglio,
  • la capacità di umanizzare la scienza, rendendola più accessibile, più comprensibile e aderente ai bisogni reali della comunità.

Questa alleanza è fondata su tre valori: ascolto, partecipazione e condivisione.

Diventa così tangibile uno dei principi che guida l’azione di FID: “Niente su di noi, senza di noi.”

Vuoi diventare anche tu un Alleato per la Cura?

Per entrare a far parte di Alleati per la Cura, è necessario:

  1. Diventare volontario attivo di Fondazione Italiana Diabete, partecipando alle iniziative, eventi e attività FID durante l’anno.
    Scopri come diventare volontario FID e iscriviti qui
  2. Completare il corso per diventare INPACT Associate di INNODIA, dedicato alle persone con diabete e familiari che desiderano contribuire attivamente alla ricerca.
    Vai al corso INPACT su www.innodia.org

I nuovi abbinamenti saranno comunicati durante l’anno, via via che FID finanzierà nuovi progetti.

Perché è importante

Con Alleati per la Cura, Fondazione Italiana Diabete consolida la sua mission di accelerare in ogni modo la ricerca. Non solo con il sostegno economico, ma anche con la partecipazione attiva delle persone e delle famiglie con diabete che possano portare nuova motivazione e nuove prospettive all’interno della ricerca.

Un passo in più per costruire insieme la strada verso la cura.

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Novità Ricerca

Lo screening pediatrico del diabete di tipo 1 funziona: ridotti del 49% i casi di chetoacidosi grave

– 26% dei casi di chetoacidosi diabetica (DKA)
– 49% dei casi di chetoacidosi grave
Sono questi gli importanti risultati di uno studio pubblicato sulla rivista “Diabetes, Obesity and Metabolism”, che dimostrano l’impatto tangibile e l’utilità degli screening istituiti con la Legge 130/23. 
Lo studio, condotto dalla Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), in collaborazione con FID, evidenzia un’importante riduzione della chetoacidosi diabetica nelle quattro regioni del progetto D1Ce, coinvolte in attività di screening pediatrico del diabete di tipo 1 e della celiachia, in applicazione della Legge 130/23.
Lo studio sull’incidenza della chetoacidosi diabetica in esordio di malattia è stato condotto in 58 centri pediatrici italiani, nel 2023 e nel 2024, comparando le regioni coinvolte nello studio D1Ce (Lombardia, Marche, Campania e Sardegna), propedeutico all’applicazione della Legge 130, con quelle non coinvolte.
Co-autrice dello studio anche la Fondazione Italiana Diabete (FID), che ha supportato la genesi e il percorso di approvazione della Legge 130. 
 
“I dati sono chiari: nelle regioni dove è stato avviato il progetto di screening, i bambini hanno avuto una probabilità significativamente più bassa di arrivare alla diagnosi di diabete in chetoacidosi, anche grave. È un segnale inequivocabile che la prevenzione funziona e che il coinvolgimento e la formazione dei pediatri fa la differenza,”
dichiara il Prof. Valentino Cherubini, Presidente SIEDP e primo autore dello studio.
 
Il progetto D1Ce (Diabetes type 1 and Celiac disease Screen Study), implementato dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con un pool di esperti e i pediatri di libera scelta, mirava a definire una procedura di screening che potesse portare alla miglior applicazione della Legge 130/23.
 
L’obiettivo era quello di fornire al Ministero della Salute gli strumenti per poter definire i decreti attuativi della legge.
Il progetto ha coinvolto i pediatri di libera scelta che, opportunamente formati e sensibilizzati sui rischi di un esordio non gestito di diabete di tipo 1, hanno eseguito i prelievi per lo screening nei bambini da loro seguiti.
 
La legge 130/2023: un primato italiano 
Grazie all’impegno del Vicepresidente della Camera dei Deputati Giorgio Mulè e della Fondazione Italiana Diabete, l’Italia è stato il primo Paese al mondo a introdurre per legge uno screening gratuito e volontario del diabete tipo 1 e della celiachia nei bambini.
Approvata nel settembre 2023 all’unanimità, la Legge 130/23 mira a diagnosticare precocemente queste due malattie autoimmuni, evitando complicanze come la DKA che possono mettere a rischio la vita dei bambini, causare coma, necessitare di ricoveri in terapia intensiva e peggiorare la gestione del diabete di tipo 1 nel lungo periodo.
“Abbiamo voluto questa legge perché troppi bambini arrivano tardi alla diagnosi e, con le loro famiglie, affrontano il trauma di un esordio con complicanze gravi. Oggi, grazie a questo nuovo studio, abbiamo l’ulteriore dimostrazione che il nostro impegno ha già salvato delle vite.
È necessario iniziare ad applicare la legge in tutte le Regioni italiane il prima possibile”,
commenta Nicola Zeni, Presidente FID.
 
Lo studio: dati incoraggianti 
Lo studio ha confrontato i dati raccolti in 58 centri italiani di diabetologia pediatrica su 2.398 nuove diagnosi di diabete di tipo 1. Nei bambini residenti nelle regioni partecipanti al D1Ce si è osservata:
• una riduzione del 26% della probabilità di presentare chetoacidosi alla diagnosi
• una riduzione del 49% della probabilità di chetoacidosi grave
Sorprendentemente, l’effetto si è evidenziato già nel 2023, prima che iniziasse lo screening vero e proprio, a dimostrazione del ruolo cruciale della formazione dei pediatri e della sensibilizzazione delle famiglie.
“È un risultato che va oltre le aspettative: non è stato solo lo screening in sé, ma il cambiamento culturale tra i medici e nelle famiglie a ridurre soprattutto i casi gravi,” afferma il Dott. Andrea Scaramuzza, principal investigator dello studio.
Una svolta guidata dalla scienza con la collaborazione di tutti gli attori
“Questo studio dimostra che l’unione tra fondazioni, scienza, medicina specialistica e del territorio, politica e persone con diabete può migliorare la salute pubblica. Continueremo a lavorare non solo per rendere la chetoacidosi diabetica una rarità in Italia, affinché nessun bambino muoia ancora per una mancata diagnosi o ne porti le conseguenze a vita, ma anche per fare in modo che il diabete di tipo 1 si possa finalmente prevenire e guarire”,
conclude Francesca Ulivi, Direttore Generale di FID e tra gli autori della pubblicazione.
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Evento Novità Raccolta Fondi

Entra nei TEAM FID!

I Team FID sono le squadre sportive ufficiali della Fondazione Italiana Diabete!
I TEAM FID sono composti da persone con diabete di tipo 1, familiari, amici, volontari e sostenitori, che partecipano insieme ad alcuni dei più importanti eventi sportivi in Italia per raccogliere fondi per la ricerca di una cura definitiva al diabete di tipo 1.
Oltre a sostenere la ricerca scientifica e sensibilizzare verso la patologia, i TEAM FID promuovono l’attività fisica come strumento di benessere e aggregazione per le persone con diabete di tipo 1, che spesso si trovano in difficoltà nella gestione del diabete durate l’attività fisica.
Al momento esistono il TEAM FID RUN  e il TEAM FID BIKE, ma siamo sempre alla ricerca di nuovi sport per creare nuovi team.
Sei un amante dello sport e vuoi sostenere la ricerca per una cura definitiva al diabete di tipo 1? 
Scopri quali sono i prossimi eventi a cui puoi partecipare!
L’EROICA – sabato 4 e domenica 5 ottobre

La manifestazione che celebra il ciclismo del passato, con percorsi su strade bianche che si snodato tra le colline del Chianti. I partecipanti pedalano su biciclette d’epoca con abbigliamento vintage. 

Come puoi sostenere la ricerca partecipando all’Eroica?

  1. Scrivici per assicurarti il tuo pettorale e scegli il percorso
  2. Apri la tua pagina di raccolta fondi su Rete del Dono raccontando la tua storia e il tuo obiettivo
  3. Invita i tuoi amici, parenti e conoscenti a donare per raggiungere l’obiettivo di raccolta fondi. 

Una volta raggiunto l’obiettivo minimo di 300 euro FID ti regalerà il pettorale solidale e ti accompagnerà passo passo lungo tutto il percorso fino al grande giorno!

In ogni caso scrivici a: segreteria@fondazionediabete.org per informarci della tua volontà di partecipare e ti aiutiamo a creare la tua raccolta.

ROME HALF MARATHON – domenica 19 ottobre

Prima volta nella capitale per FID!

Un magnifico percorso di 21 km nella storia millenaria della città, tra monumenti e scenari mozzafiato, con un arrivo indimenticabile al Colosseo!

Come puoi partecipare? È semplice:

1- Crea la tua pagina personale su Rete del Dono come personal fundraiser.

2- Coinvolgi amici, parenti e colleghi per raccogliere almeno 250 euro.

3- Al raggiungimento dell’obiettivo, FID ti regala il pettorale per partecipare con noi alla Mezza Maratona di Roma!

Grazie al tuo impegno potremo continuare a finanziare importanti progetti per la ricerca di una cura al diabete di tipo 1.
Ogni passo può davvero fare la differenza.

Vuoi correre con noi? Scrivici subito a:
📧segreteria@fondazionediabete.org

MARATONA DI VENEZIA – domenica 26 ottobre 

FID torna a Venezia dopo il grande successo del 2024!

Un percorso unico al mondo: ponti calli e scorci da togliere il fiato. Corri gli ultimi 10 km con noi per raggiungere il traguardo finale!

Come puoi partecipare? 

1- Crea la tua pagina personale su Rete del Dono come personal fundraiser.

2- Coinvolgi amici, parenti e colleghi per raccogliere almeno 250 euro.

3- Al raggiungimento dell’obiettivo, FID ti regala il pettorale per partecipare con noi alla 10 km di Venezia!

scrivici subito per assicurarti il tuo pettorale:

segreteria@fondazionediabete.org

Se vuoi informazioni su come partecipare a uno di questi eventi scrivi a segreteria@fondazionediabete.org oppure compila il form e verrai contattato!

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Novità Ricerca

PRESENTATI I RISULTATI DELLO STUDIO D1CE SCREEN

I RISULTATI DELLO STUDIO D1CE SCREEN DIMOSTRANO CHE LO SCREENING SU LARGA SCALA DI PUO’ FARE. ORA SI INIZI LO SCREENING A LIVELLO NAZIONALE

5363 bambini sono stati sottoposti allo screening degli anticorpi di diabete di tipo 1 e celiachia nell’ambito del D1Ce Screen portato avanti da ISS in 4 regioni italiane: Lombardia, Marche, Campania e Sardegna.

Sono stati presentati oggi all’Istituto Superiore di Sanità, a Roma i dati del progetto pilota della legge di screening 130/23 che FID ha proposto e promosso, il cui obiettivo era capire quale fosse il metodo migliore per attuare la legge e, secondariamente i tassi di positività agli anticorpi che predicono le due malattie.

I dati hanno dimostrato che uno screening su larga scala si può fare, con il coinvolgimento dei pediatri di libera scelta che hanno un contatto diretto e godono della fiducia delle famiglie.

D1Ce Screen è stato condotto dall’ISS, in convenzione con il Ministero della Salute e implementato da uno “steering commitee” che comprende, oltre ad ISS, la SIEDP (Società Italiana Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica), la FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri) e proprio FID (Fondazione Italiana Diabete), che quattro anni fa ha dato il via al percorso che ha portato alla legge. L’obiettivo del D1Ce Screen era evidenziare la sostenibilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale, le potenzialità, le criticità organizzative e i costi-benefici di un potenziale screening su scala nazionale delle due patologie, così come previsto dalla Legge 130/2023.

D1Ce – prosegue Zeni – ha confermato anche l’accettabilità degli screening da parte delle famiglie, così come lo studio UNISCREEN, sostenuto da FID e operato direttamente dalla Fondazione e dai volontari e i cui primi risultati sono da poco stati pubblicati su Frontiers in Public Health[1]. Curare definitivamente il diabete di tipo 1 è l’obiettivo principale della nostra Fondazione. Per questo, tra gli altri, abbiamo finanziato UNISCREEN, coordinato dall’IRCCS San Raffaele, che ha previsto in una cittadina del milanese, uno screening di popolazione del diabete di tipo 1 e della celiachia, oltreché di altre malattie croniche cardiovascolari. Il lavoro, che ha fatto da apripista all’applicazione della Legge 130, ha evidenziato come in quasi il 50% dei soggetti un’unica puntura del dito fosse stata sufficiente per eseguire tutte le misurazioni oggetto dello studio e come oltre il 90% dei partecipanti avesse considerato il prelievo capillare semplice e pratico”.

“Sia D1Ce sia UNISCREEN hanno dimostrato come gli screening siano sostenibili e ben tollerati dalla popolazione. Adesso bisogna portarli al più presto in tutte le Regioni italiane. Il nostro impegno per raggiungere questo obiettivo è iniziato nel 2021, quando abbiamo dato impulso al percorso parlamentare culminato con la Legge 130/2023. Ne abbiamo sostenuto l’iter approvativo e oggi continuiamo a vigilare affinché diventi realtà, scongiurando che i bambini italiani destinati ad avere il diabete di tipo 1, sviluppino i sintomi più pericolosi della malattia, come la chetoacidosi, che può essere letale. Inoltre, ci auguriamo che la possibilità di monitorare questi bambini, come mai fatto finora, apra nuovi orizzonti verso una maggiore comprensione delle cause della malattia e verso terapie sempre più efficaci”, conclude Zeni.

Per chi volesse approfondire appuntamento a domenica 13 luglio alle 18,30 per una puntata della Domenica della Ricerca sulla predizione e prevenzione del diabete di tipo 1 e sui prossimi passi verso l’applicazione della legge in Italia.

 

[1] Angiulli S, Merolla A, Borgonovo E, De Lorenzo R, Spadoni S, Fontana B, Manganaro G, Rela E, Bongiovanni A, Peracino R, Bellino C, Pata G, Bianconi E, Martinenghi S, Ulivi F, Renzi C, Bosi E; UNISCREEN Study Group. Universal capillary screening for chronic autoimmune, metabolic and cardiovascular diseases: feasibility and acceptability of the UNISCREEN study. Front Public Health. 2025 Feb 11;13:1506240. doi: 10.3389/fpubh.2025.1506240 PMID: 40008147; PMCID: PMC11850345.